Leyli Maal è una donna maliana emigrata a Marsiglia per offrire un futuro migliore ai suoi tre figli. All’improvviso però tutto il suo sogno sembra crollare miseramente quando due omicidi portano gli inquirenti sulle tracce di sua figlia Bamby, ventenne di una bellezza mozzafiato. Il segreto che ha custodito per anni, e che è racchiuso nel suo quaderno rosso, minaccia di venire a galla.
Il quaderno rosso, l’ennesimo thriller di Michel Bussi comparso sugli scaffali delle librerie nostrane in questo 2018, gioca con un tema drammatico e attuale come l’emigrazione clandestina, focalizzando l’attenzione sugli sbarchi sulle coste francesi e sul giro di soldi che c’è dietro. Tra un omicidio e un inseguimento, l’autore ha la possibilità di inserire scene drammatiche di violenza, sopraffazione e sfruttamento per aprire una breccia nel cuore dei lettori e sensibilizzarli sulle condizioni a cui sono sottoposti questi disperati che cercano di attraversare il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna.
Nessuno è innocente in questa storia.
Tutto giocato tra Marsiglia e Rabat, il romanzo rimbalza tra presente e passato così da inquadrare il personaggio di Leyli, una donna forte che ne ha passate di tutti i colori per riuscire a passare da una sponda all’altra e cercare una stabilità per sé e per i figli.
Ho sbattuto contro una parete di vetro invisibile e invalicabile. Il mondo è così per la gente comune nata nella parte sbagliata del mondo.
L’inizio è come sempre molto promettente, ma via via che si procede nella lettura si perde quel brio, quel piglio che tiene in allerta. Ed è proprio quando l’interesse sta scemando lentamente che arriva la rivelazione shock che rimette in moto tutti i sensi.
Personalmente ho avuto subito l’istinto di sfogliare le pagine all’indietro per rileggere i passaggi in cui avrei potuto cogliere l’ambiguità (avrei potuto, ma non l’ho fatto).
Non è vero che ci sono una serie di colpi di scena; anzi, rispetto agli altri thriller dell’autore, questo non è un serbatoio inesauribile di sorprese. Il colpo di scena è uno, ma ben assestato, mentre per tutta la narrazione siamo di fronte a una caccia all’uomo (a dire il vero, più di una) intrigante sì, ma sempre molto lineare.
Dal momento di quella impensabile scoperta si entra nella fase poliziesca della vicenda: una serie di inseguimenti, di false piste che portano in vicoli ciechi e di enigmi che si sciolgono solo nelle ultime, decisive pagine.
Nel complesso considero Il quaderno rosso meno accattivante dei precedenti (non smetterò di ripetere che Ninfee nere resta il mio preferito, seguito a ruota da Non lasciare la mia mano e Tempo assassino). A mio avviso, il suo difetto più grande è che si dilunga troppo nella fase centrale; probabilmente, un centinaio di pagine in meno avrebbero aiutato a rendere il tutto più scorrevole e coinvolgente.