Leon, felicemente sposato con Natalie, inizia ad avvertire i sintomi di un grave sonnambulismo, disturbo che credeva di aver curato dopo tanti anni di psicoanalisi. Per capire cosa gli succede durante il sonno, e per verificare se ha usato violenza su sua moglie, compra una telecamera per riprendere i propri comportamenti notturni. Quello che scoprirà lo catapulterà in un incubo…
Il sonnambulo di Sebastian Fitzek è un thriller psicologo davvero ben congegnato, pensato come un viaggio allucinato attraverso gli stati di Io, Super-Io ed Es.
Leon è un sonnambulo ed è ossessionato dall’idea di poter far del male a se stesso o agli altri durante il sonno, e l’occhio nero della moglie Natalie è il chiaro segno che senza volerlo ha superato il limite. La sparizione di lei non può che esserne la prova lampante.
È in questo stato confusionale, aggravato dal non aver memoria di quanto è successo, che inizia a trovare misteriose aperture verso un mondo segreto e da brivido.
Insieme al protagonista, anche il lettore si perde nei meandri dei cunicoli della palazzina senza capire quanto ci sia di vero e quanto di immaginario, dove finisca il sogno (o per meglio dire l’incubo) e dove inizi la realtà.
Aveva paura di una persona ben precisa che era lì sotto e che non aveva mai incontrato in vita sua, sebbene fosse sempre al suo fianco: aveva paura di sé stesso. Del suo secondo Io dormiente.
Il difetto che mi sento di evidenziare è che nella prima parte il romanzo è ingarbugliato e fin troppo surreale per essere considerato anche lontanamente possibile. Eppure… Eppure, Fitzek costruisce l’intreccio in modo da instillare il dubbio e confondere le carte così da rendere impossibile distinguere il mondo del sogno da quello della veglia. Ed effettivamente il dubbio si insinua eccome.
Se a questo si aggiunge un ritmo incalzante e una trovata finale a dir poco geniale e inaspettata, il neo della poca credibilità diventa un difettuccio del tutto marginale.