Jeremiah ha quattro anni quando Sarah, sua madre naturale appena maggiorenne, lo porta via dalla famiglia affidataria che lo ha cresciuto. Da quel momento la sua vita sarà un viaggio attraverso le più malfamate strade d’America, tra camionisti, prostitute, spacciatori.
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa è un romanzo (inizialmente spacciato come autobiografico) della scrittrice statunitense Laura Albert che, con lo pseudonimo J.T. Leroy, racconta la storia di un bambino cresciuto per strada con una madre ancora adolescente, instabile e drogata.
Il piccolo Jeremiah passa dall’essere un figlio adottato ma amato da due persone che non hanno il suo stesso sangue all’essere trascinato per giorni su una macchina scalcagnata da una madre spesso strafatta, che si ubriaca e si prostituisce, che passa da un uomo all’altro, che per giorni abbandona suo figlio in balia del suo destino.
Dopo un’iniziale tristezza, il bambino imparerà a riconoscere in quella vita la normalità. Dormire in macchina, frugare nella spazzatura dei fast food, trascorrere la notte nei diner mentre sua madre se la fa con i camionisti, fingersi una bambina per compiacere i gusti del patrigno di turno. Peccare e ricercare la purificazione attraverso la violenza.
Nel titolo è racchiusa la potenza di questa fame di affetto. “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa” descrive perfettamente la situazione di Jeremiah che non è in grado di distinguere il bene dal male e finisce per piegarsi a tutto questo perché di questo si è nutrito fin da piccolo. Ecco perché il suo cuore non può che palpitare per quella madre anaffettiva e violenta, non può che cercare la sua approvazione, il suo affetto.
Non sempre la narrazione è lineare; spesso alcuni episodi sono raccontati attraverso salti temporali da cui si può ricostruire la situazione del ragazzo in casa dei nonni o quando vive in una roulotte, in un camion, per strada, in una stanza di motel o nell’appartamento di uno dei fidanzati di sua madre. Una narrazione episodica quindi, che spesso lascia confusi sul lasso di tempo trascorso e sull’età raggiunta dal protagonista.
Un racconto che fa male non solo per la violenza gratuita ma perché a raccontare quella violenza è un ragazzino di quattro, sette, undici anni, un ragazzino cresciuto con la paura di essere ucciso dalla polizia, crocifisso dai genitori affidatari o destinato all’inferno perché ha mangiato qualche ghiottoneria. Un ragazzino che si sente al sicuro solo con sua madre e con gli uomini, non meno violenti e drogati, a cui di volta in volta lei si lega.
Abusi fisici e psicologici, droghe, alcool, abbandoni, autolesionismo: si entra nella vita di Jeremiah e si è trascinati in un mondo osceno, raccapricciante, in cui gli adulti sembrano essere tutti aguzzini.
Perfino in casa dei suoi nonni (un predicatore e sua moglie) non gli va meglio: le punizioni corporali sono considerate l’unica via salvifica per il paradiso e lui quelle punizioni le anela ardentemente per tornare ad essere un bravo bambino. Non c’è pace per il piccolo Jeremiah, né ci può essere redenzione per il Jeremiah adulto che nelle ultime pagine cerca l’estremo atto di purificazione.
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa è un romanzo difficile da digerire, un pugno allo stomaco che tutto sommato non è così indispensabile leggere se si vuole sottrarsi all’orrore e alla frustrazione.