La Califfa è una popolana di una bellezza fuori dal comune che, dopo aver perso il figlio piccolo e il marito, diventa l’amante di un imprenditore locale, il Doberdò, scatenando così le chiacchiere delle malelingue.
La Califfa è un romanzo di Alberto Bevilacqua del 1964, un romanzo datato e dimenticato. A mio avviso ingiustamente dimenticato.
Irene Corsini, per tutti la Califfa, è una donna dalla tempra inossidabile, che è sopravvissuta alla perdita di un figlio, alla prigionia del marito e alla fucilazione di lui che, uscito di prigione, si è rivelato una testa calda.
Il romanzo inizia molto prima dei fatti che poi caratterizzeranno il nodo cruciale della storia e descrive l’atmosfera di una provincia sonnacchiosa ma in cui aleggia il malcontento; la vita nei sobborghi, gli stenti per campare, il lavoro che c’è e poi da un giorno all’altro non c’è più, e la difficoltà di mettere in tavola un pasto caldo per un figlio che pian piano si spegne per la denutrizione.
Così da donna del popolo, la Califfa diventa “slandra”, una che vende il suo corpo, una mantenuta. Ma mai avrebbe immaginato di trovare un po’ di felicità in quella situazione, rivestita di tutto punto, in una casa non sua e tra le braccia dell’uomo di un’altra che viene a togliersi le voglie prima di tornare a casa dalla moglie.
E allora l’ho già scontata anche troppo, la vita, anche troppo l’ho piegato, questo collo, perché gli altri erano gli altri… E cosa ci ho guadagnato?… Voglio giocarmi diversamente la fortuna mia, Viola!… Non mi basta star contenta di un giorno in più, con l’idea ch’è tutto di guadagnato… E che m’importa poi dei soldi? Che m’importa di ritornare a zero? A zero torno lo stesso, se è destino. Ma intanto che ci sto, ci voglio stare fino in fondo.
Inizia lentamente La Califfa, con un ritmo che davvero invita a lasciar stare, ma quando si entra nel vivo, ecco che non si riesce a interrompere la lettura.
Inutile dirlo: meglio il libro del film, però lo sguardo di Romy Schnider nei panni della Califfa restano impressi!