La storia di una figura del Seicento che, come molte altre, si perde nell’oblio della memoria storica: Antonia, di una bellezza fuori dal comune e d’indole ribelle, viene accusata di stregoneria per aver circuito gli uomini di Zardino.
La chimera è un romanzo storico che ruota intorno ad una caccia alla strega: non servono prove, basta un sospetto a mandare al rogo una concupiscente fanciulla, perché si sa che la donna in queste cose un po’ di colpa ce l’ha sempre: la bellezza non è mai senza peccato.
La storia di Antonia e del conseguente processo alla strega diventa per Vassalli un pretesto per trattare tutta una serie di condizioni dell’epoca, dalla situazione dei camminatori ai banditi che saccheggiavano i paesini, dalle angherie dei ricchi a discapito della gente incolta al contorno di credenze popolari e superstizioni.
Un quadro di uno dei tanti borghi dei Seicento, con il mercato in piazza, le lavandaie sul ciglio del fiume, i risaioli che lavorano nei campi, il prete (un po’ ciarlatano), e le immense distese tra brughiere e paludi.
Ma è sulla questione della Chiesa che Vassalli non lesina argomentazioni (e qualche giudizio): la Controriforma, l’Inquisizione, la corruzione dilagante, la questione delle offerte, il bigottismo, il fanatismo religioso.
Insomma, a volte di Antonia si perdono le tracce per pagine e pagine, e non sarei onesta se dicessi che non se ne sente la mancanza. Alcune divagazioni sono molto interessanti e, come ho detto, danno un’idea precisa dell’Italia dell’epoca, altre invece procedono con più lentezza e sono meno coinvolgenti.
Il presente è rumore: milioni, miliardi di voci che gridano, tutte insieme in tutte le lingue e cercando di sopraffarsi l’una con l’altra, la parola “io”. Io, io, io… Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla; magari laggiù, un po’ a sinistra e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il “macigno bianco” che oggi non si vede. Nel villaggio fantasma di Zardino, nella storia di Antonia. E così ho fatto.
Per Vassalli la storia non è solo un insieme di eventi conclusi e fini a se stessi, ma un punto di partenza da rivedere alla luce dei fatti presenti dove le donne non vengono bruciate nelle piazze ma vengono uccise in molti altri modi, e dove si è dovuta inventare la parola “femminicidio”. E non a caso, quale narratore esterno, non perde occasione per commentare apertamente, confrontare, ironizzare sulla grossolanità e sulla grottesca situazione di allora.