Rosa, al capezzale della madre Vincenzina, ripercorre le tappe della vita delle nonne e quella dei suoi genitori soffermandosi sulle difficoltà economiche e sui dolori.
La compagnia delle anime finte è un romanzo che ha come nodo focale la miseria nei quartieri bassi napoletani.
La voce narrante è quella di Rosa che racconta ad una madre morta, distesa lì al suo fianco, ripercorrendo la vita della defunta, come se la avesse vissuta in prima persona. Le immagini che rievoca Rosa si susseguono davanti ai suoi occhi (e a quelli di noi lettori) vive e reali: l’incontro tra il padre Rafele e la madre Vincenzina – di buona famiglia lui, di umili origini lei –, l’innamoramento, la resistenza della madre di lui, il matrimonio, la nascita della prima figlia. Rivive tutto, fino alla malattia del padre che segna il declino definitivo della famiglia.
Che mi succede, ma’? Vuoi che racconti la storia tua e del tuo sposo e mi hai dato la vista potente dei tuoi ultimi istanti? Quando, si dice, l’intera vita e quelle delle persone care scorre davanti agli occhi.
Questo tuffo nel passato vuole essere un inno alla forza di Vincenzina che ha superato la povertà, l’autorità della madre, la vedovanza, i debiti e la difficoltà di crescere i figli da sola. Certo non si può dire che sia stata una madre affettuosa, non lo sono state neanche le nonne Adelina e Lisuccia, d’altronde, ma è nell’ordine delle cose: sono donne impegnate a mandare avanti la casa, a occuparsi di tutte le faccende domestiche, a vegliare sulla moralità dei figli (anche oltrepassando i limiti).
Wanda Marasco mette in scena un mondo matriarcale dove sono le mogli a portare i pantaloni, donne che devono fare i conti chi con i problemi pratici, chi con i fantasmi del passato, donne che non hanno tempo per le effusioni d’affetto.
Intorno a queste figure familiari si muovono altri personaggi minori le cui vite entrano comunque nel cerchio d’attenzione dell’autrice: così apprendiamo delle vicende dell’amica d’infanzia Annarella, della vicina di casa violentata, della sorella Iolanda rinchiusa in manicomio, del femminiello Mariomaria. Sono loro le “anime finte” del titolo, ed è la loro presenza che trasforma una semplice storia familiare in una sorta di romanzo corale.
Ma’, mi senti? Questo è il racconto che stava sulla terra da prima che io nascessi. Sto provando a metterci dentro tutte le anime recitanti. Fino alla fine, ma’, come un drammaturgo che non si arrende…
Così diverse Rosa e Vincenzina, eppure con un destino simile, che le vedrà ricongiungersi nel momento dell’ultimo addio.
Non si può parlare di questo romanzo senza fare un cenno allo stile. Che dico un cenno, un plauso! La Marasco riesce a trovare il perfetto equilibrio tra lingua italiana alta, elegante e curata nel dettaglio, e il dialetto stretto napoletano che, se all’inizio crea qualche difficoltà, si impara via via a maneggiare. Non solo, è proprio questo intercalare informale che nei momenti topici mette in evidenza la drammaticità della situazione.
La compagnia delle anime finte è un libro brillante, emotivamente coinvolgente e ben scritto. Un libro che, se pur non si è aggiudicato il Premio Strega, di certo merita di entrare nel novero delle migliore opere italiane di quest’anno.