Una giovane donna di trentatré anni, senza figli e con un marito che la lascia per un’altra, si trova a dover badare al figlio sordo e ipovedente della sua migliore amica ricoverata in ospedale. Decide così di portarlo con sé in un lungo viaggio nelle terre d’origine della sua famiglia.
La donna è un’isola è la storia di un viaggio lungo le strade di Reykjavik, un viaggio che segnerà l’inizio di un processo di rinascita per la protagonista e per il suo piccolo compagno di avventura.
La loro vacanza diventa un salto in un mondo onirico, con incontri di uomini misteriosi, incidenti con animali selvaggi e pile di banconote chiuse nel vano portaoggetti.
Già con Rosa candida e L’eccezione avevo capito che con Auður Ava Ólafsdóttir bisogna lasciarsi trascinare in un mondo favoloso e fuori da ogni schema. Ma nel complesso devo dire che questo La donna è un’isola mi è sembrato davvero troppo strano.
Di tanto in tanto sei costretto a tornare indietro di qualche pagina per capire da dove spuntino alcuni personaggi secondari, come la ballerina con la cicatrice sul seno, i cacciatori coi fucili puntati, gli uomini che saltano fuori da una notte buia e gelida per spalare la terra che ingombra la strada o lasciano in custodia un falcone ferito. Insomma tutto molto surreale.
In più, devo ammettere che la protagonista non mi ha strappato il cuore, anzi: fa scelte bizzarre, se non proprio sconsiderate in diverse situazioni, in primis quella di portare un ragazzino con un forte handicap in giro per l’Islanda quando sua madre è ricoverata in ospedale. Ma questo sarebbe il meno, se non fosse che tutto il viaggio è un susseguirsi di scelte inappropriate per un ragazzino e lei, come surrogato di madre, non si dimostra delle più attente.
Per non parlare delle sue scelte sentimentali: ha un ex marito con cui intrattiene un rapporto davvero poco convenzionale se si considera che lui l’ha recentemente tradita e aspetta un figlio da un’altra; e sempre non convenzionale è la relazione che intesse con tre diversi uomini che incontra durante il viaggio.
Sono una donna al centro di un disegno, un disegno finemente intessuto, fatto di sentimenti e di tempo. E le cose che mi stanno capitando, e che hanno un impatto profondo sulla mia vita, sono talmente tante che sembra non si limitino ad avvenire semplicemente una dopo l’altra, ma piuttosto che accadano su diversi piani di pensieri, di sogni e di stati d’animo contemporaneamente: momenti inscritti all’interno di altri momenti. Soltanto tra molto tempo mi riuscirà di discernere un filo logico, nel caos di quello che sta succedendo.
Ecco, questa frase è il miglior commento a questo romanzo: racconta lo strano succedersi degli eventi, il bizzarro atteggiamento della protagonista-narratrice nel rapportarsi ad essi e il filo logico piuttosto effimero che lega i singoli episodi.
A chi lo consiglierei? A chi ha una spiccata fantasia ed è affascinato da storie incredibili e poco realistiche. A loro lascio anche il compito di capire il senso di questo romanzo, perché io, ad essere sinceri, non l’ho colto…