Maria è la piccolina di papà, una bimbetta di appena cinque anni che una sera viene violata proprio da colui che dovrebbe proteggerla. Otto anni dopo, quando ormai il padre non c’è più e lei e sua madre si sono trasferite a Roma, si renderà conto del suo fascino.
La figlia femmina è il romanzo d’esordio di una giovanissima scrittrice catanese, Anna Giurickovic Dato.
La storia parte sotto i migliori pronostici e già dalle prime righe si entra in una casa qualunque, in una famiglia come tante dove c’è amore e armonia ma dove, all’improvviso, il mostro si leva la maschera e svela la sua vera natura di prevaricatore. Maria è una bambina e non ha gli elementi per distinguere il bene dal male
Maria si porterà dietro i segni di quell’abuso e negli anni dell’adolescenza si rivelerà spudorata, priva di inibizioni, forse neanche troppo consapevole di quello che il suo giovane e tonico corpo di adolescente può provocare su un uomo adulto.
Sua madre Silvia è all’oscuro di tutto o forse non ha il coraggio di vedere quello che succede, di tradurre i comportamenti bizzarri di sua figlia in una richiesta implicita di aiuto. E quando sa, l’orrore è tale che pure ricostruire un nuovo rapporto non è cosa facile.
Mi imposi di accarezzarla, ma poi non lo feci. La mano si fermò a mezz’aria. Non era per quello che aveva fatto, non le rimproveravo niente. Se solo avessi saputo, lo avrei fatto io stessa. Pensavo che da ora in poi l’avrei difesa, avrei riparato tutto. Ma in quel momento non riuscivo a toccarla, non desideravo baciarla, ed era un sollievo che i suoi occhi fossero chiusi.
Ma nel vederla ragazzina con un visino da bambina e con le prime forme al posto giusto, si interroga sulla natura di quella piccola ninfetta ammaliante che cerca di sedurre chi si vorrebbe mettere tra loro.
È lei, Silvia, la voce narrante. È suo il punto di osservazione e, anche se è uno sguardo materno, il giudizio su Maria non può che essere impietoso.
Benché si sappia fin dall’inizio che la storia trattata è una di quelle che fa accapponare la pelle, il vero pugno nello stomaco arriva in un secondo tempo, quando Maria mette in campo con Antonio un gioco davvero perverso. Diciamo che qui casca l’asino perché questa scena è talmente marcata che risulta a dir poco surreale. Gli ammiccamenti della ragazzina sono, appunto, da ragazzina sciocca che gioca a fare la donna vissuta; la madre sta lì a guardare imperterrita invece di darle due sonori sganassoni e Antonio è l’ennesimo pervertito che vuole abusare di lei. Tutti patetici e grotteschi, irritanti. Poco credibile, ecco!, non è che tutti gli uomini di fronte a un paio di cosce nude perdono la testa.