Amor torna nella grande casa di famiglia in quattro momenti diversi della sua vita per partecipare ad altrettanti funerali. In queste occasioni riemerge forte in lei il desiderio di mantenere fede alla promessa che sua madre Rachel, in punto di morte, ha estorto al marito Mannie: donare casa Lombard alla fedele Salome.
La promessa, il romanzo con cui Damon Galgut si è aggiudicato il Booker Prize 2021, racconta le vicende della famiglia Swart nel delicato passaggio del Sudafrica dall’apartheid al riconoscimento dei diritti civili dei neri.
La morte è ciò che determina il ricongiungimento di tutti i membri della famiglia sotto il tetto della grande villa ai piedi di una collinetta. Eppure, lungi da essere un momento di unione familiare, il lutto rende ciascun personaggio più solo, più incompreso e fermo su posizioni sempre più distanti. I differenti caratteri, esacerbati dai conflitti che naturalmente si possono creare all’interno di una famiglia, portano i tre figli Anton, Astrid e Amor a sollevare un muro di incomunicabilità.
Col passare degli anni, e dopo aver perso la madre prima e il padre dopo, nessuno di loro tre ha trovato il modo di fare un passo verso gli altri, così come nessuno è riuscito a costruirsi una vita felice e appagante. Solo Amor ha cercato di dare un senso alla sua vita, ma nel suo prendersi cura del prossimo (è un’infermiera al servizio di malati terminali) c’è qualcosa di autodistruttivo. Come se le ultime volontà della madre e la promessa mancata del padre l’avessero accompagnata per tutta la vita e le pesassero sulle spalle come un macigno, una colpa che deve espiare lei stessa a nome della famiglia. Ed è proprio quella parola data e mai mantenuta a creare una frattura insanabile tra i fratelli Swart.
Ai margini, e solo di tanto in tanto, fa la sua comparsa Salome, la donna nera che è al centro della discordia. È lei che da anni è al servizio della famiglia Swart, ha cresciuto i tre pargoli, ha accudito la moribonda Rachel fino all’ultimo momento, ha fatto la spola tra la grande casa e quella che abita ormai da tutta la vita pur non essendone la legittima proprietaria.
Salome, che è paziente da trentun anni, solo di recente ha rinunciato alla speranza e, come tu stesso avrai scoperto strada facendo, la rassegnazione porta sollievo. […] Tanti anni nello stesso posto, o meglio in due posti, questa casetta storta alle pendici di una collina, e la casa molto più grande sul lato opposto. Passare dall’una all’altra, senza appartenere a nessuna delle due, ecco cosa è stata la sua vita. Non si aspettava che cambiasse.
Al di là della trama avvincente, la caratteristica che più impreziosisce questo romanzo è l’originalità della scrittura, in cui il narratore esterno inquadra ora una situazione, ora un’altra, dando spesso voce ai diretti protagonisti, anche solo per esprimere un concetto, un’esclamazione, un pensiero fugace. Ne deriva una narrazione che è un flusso ininterrotto di sentimenti, di azioni e di reazioni che offrono una visione a tutto tondo della vita interiore dei personaggi. E non mancano momenti in cui l’autore interloquisce apertamente con il lettore, chiedendo la sua attenzione o dando giudizi sui comportamenti arroganti dei ricchi e superficiali bianchi.
La suddivisione nei quattro capitoli crea un’interruzione nel flusso della narrazione e differenzia le varie parti della storia inquadrandole in momenti storici diversi, distanti un decennio l’uno dall’altro. Distanti cronologicamente, ma non poi così distanti (men che meno moderni) nel modo di vivere la questione razziale.
La promessa è un romanzo intenso e vero, che mi ha instillato la curiosità di indagare più a fondo le abitudini della popolazione sudafricana (cosa che, invece, non mi aveva ispirato Coetzee) e che mette in luce come bianchi e neri vivono fianco a fianco non più con diffidenza, ma nemmeno con democratica fraternità.