Sumire, una ragazza misteriosa e amante di Kerouac, si innamora di Myu, un’imprenditrice di qualche anno più grande che, pur ricambiando il sentimento, non sembra intenzionata a viversi quella passione.
La ragazza dello Sputnik non è tra i romanzi più gettonati di Murakami ma si incasella perfettamente in quel filone magico-realistico tanto caro agli scrittori orientali.
La prima metà sembra uno dei più classici esempi di romanzo di formazione, dove la protagonista si scopre innamorata di una donna più grande di lei e comincia a fantasticare sulla possibilità di un futuro insieme. Ma è nella seconda parte che emergono i tratti distintivi di Murakami, in primis le atmosfere oniriche che irrompono nel mondo reale.
Per un lettore esperto e amante del suo stile è facile ritrovare alcuni elementi “già sentiti” nelle storie precedenti: l’attrazione per la luna, spesso motore delle vicende dei protagonisti; il legame con i gatti; il fascino per le isole, o per l’acqua in generale; la scomparsa misteriosa di un personaggio; l’ossessione per le orecchie delle figure femminili (mi chiedo spesso se abbiano qualcosa di speciale le donne giapponesi rispetto a noi occidentali o se Murakami sia una specie di feticista dei lobi). E poi – non ultimo – la musica. In tutti i suoi romanzi la colonna sonora è vibrante e a volte riempie la scena come (se non più di) un personaggio minore che interpreta la sua parte.
Perché dobbiamo tutti restare soli fino a questo punto? Pensai. Che bisogno c’è? Con tutte le persone che vivono su questo pianeta, e se ognuno di noi cerca qualcosa nell’altro, perché alla fine dobbiamo essere così soli? A che scopo? Forse il pianeta continua a ruotare nutrendosi della solitudine delle persone?
Ecco un altro tema ricorrente: la solitudine. Il rapporto genitori-figli è quasi sempre critico (o totalmente assente) e molti personaggi adolescenti vivono da soli o gironzolano per il mondo senza la supervisione di un adulto.
Infine, come già in Dance dance dance, Kafka sulla spiaggia ma ancora di più in 1Q84, il soprannaturale irrompe nella quotidianità con una naturalezza e una semplicità disarmante. E al lettore non resta che accondiscendere alle regole dettate dallo scrittore giapponese e lasciarsi trasportare in un mondo i cui confini sono labili. Sogno e realtà si alternano e si mescolano tra loro.
Come ho detto, queste costanti fanno sì che il lettore si senta un tutt’uno col mondo giapponese murakamiano. Ma, dal canto mio, devo ammettere che la ripetitività stanca e che non è la prima volta che mi ritrovo interdetta per la similarità della trama con altre sue opere. Piacevole ma non originalissimo.