La sera della vigilia di Natale Blythe è davanti alla casa del suo ex marito Fox e spia la famiglia perfetta che si è ricreato da quando il loro matrimonio è andato in rotoli. Da dietro la finestra Violet, la figlia con cui ha sempre avuto un rapporto difficile, la vede e sembra dirle qualcosa, la conferma di una verità che ha sempre saputo…
Romanzo d’esordio di una promettente Ashley Audrain, La spinta è la storia di una maternità difficile, di un rapporto madre-figlia che non decolla.
La protagonista e voce narrante, Blythe, ha un passato di carenze affettive, e prima di lei anche sua madre era stata vittima di violenze: ecco perché si insinua in lei il sospetto che una tara mentale si tramandi di generazione in generazione.
Pensavo a come uscirne. Là, al buio, col latte che scorreva e la sedia che dondolava. Pensavo di rimetterla nella culla e fuggire nel cuore della notte. Pensavo a dov’era il mio passaporto. Alle centinaia di voli elencati sul tabellone delle partenze. A quanti soldi potevo prendere al bancomat con un prelievo solo. A lasciare il telefono là sul comodino. A quanto ci avrebbe messo il latte ad andarmi via, il seno a cancellare le prove che lei era nata.
Mi tremavano le braccia all’idea.
Tutti pensieri che non mi lasciavo mai sfuggire di bocca. Pensieri che le mamme non pensano.
Man mano che si procede nella lettura si viene a conoscenza di particolari scottanti che servono a dare un quadro completo della psicologia dei personaggi principali. Blythe è dipinta come una donna fragile, che non riesce a barcamenarsi tra il suo ruolo di madre e quello di donna e di scrittrice, una donna che non vive la maternità con quel sentimento pieno e amorevole che sente descrivere dalle altre madri.
La sua esperienza ci porta nel mondo della gravidanza e in ciò che ne segue, vivendo le difficoltà del parto, dell’allattamento e dello svezzamento, gli sbalzi d’umore e i sensi di colpa nel sentirsi inadeguata e si finisce per scoprire che la maternità non è sempre un momento meraviglioso nella vita di una donna. Tanto più che Blythe, in virtù di un sospetto che la distrugge, non riesce a legare con sua figlia e quando fa dei tentativi (timidi e abbastanza goffi, a dire il vero) resta delusa, affranta. È paradossale che alla fine riesca a trovare un seppur minimo conforto nella persona meno adatta a sostenerla.
Del marito Fox conosciamo poco o niente e, a dire il vero, è quello che più di tutti suscita rabbia e antipatia allo stato puro; un uomo distante, indifferente, che si è costruito un’idea di famiglia e non va oltre a quel modello perfetto a cui anela; un uomo che non sa riconoscere i segni del disturbo mentale.
Infine c’è Violet, una ragazzina davvero complessa, che mostra atteggiamenti anomali sia in famiglia che con i compagni di classe. Un personaggio ambiguo, per cui è difficile provare simpatia e a cui verrebbe voglia di mollare due sonori ceffoni sul quel viso apparentemente angelico.
La spinta è un romanzo inquietante, che si legge come un thriller psicologico anche se non è facilmente catalogabile in un genere specifico. Di certo, è uno di quei romanzi che ti risucchiano nel vortice e da cui non è facile staccarsi. Unico difetto: nella seconda parte sono pochi i fatti davvero salienti che i fanno saltare sulla sedia.