Il libro parla di un viaggio in uno scenario apocalittico in cui un padre e il suo bambino cercano dolorosamente, faticosamente di sopravvivere e di salvarsi.
Ieri sera ho finito di leggere La strada di McCarthy e non posso esimermi dal dedicargli un commento.
A livello strutturale il libro non è diviso in paragrafi, i dialoghi non sono indicati, se non, raramente, da un’interlinea; la scrittura è asciutta, sottrattiva, ma ci sono delle accurate, mirabili descrizioni che ci permettono di calarci perfettamente nelle atmosfere e nei paesaggi attraversati dai protagonisti.
La prima parte risulta ripetitiva, alienante, con un incedere lento che non dà spazio alla dinamicità di un imminente colpo di scena favorevole per i due.
L’oscurità implacabile. I carri del sole nella loro corsa cieca. Il vuoto nero e schiacciante dell’universo. E da qualche parte due animali braccati che tremavano come volpacchiotti nella tana.
L’oblio ha varie forme in questo romanzo popolato di uomini (anzi no, di zombie) cenciosi, smunti, bruciacchiati, sopravvissuti, spesso appellati “cattivi” contrapposti ai due, in particolare al bimbo, che ha sempre pensieri buoni, un’urgenza di non abbandonare nessuno e rappresenta in pieno il potere salvifico dell’umanità che non si arrende davanti all’abbrutimento della devastazione.
La natura non dà frutti, non sfama, è fredda, anzi gelida, sterile, matrigna e sottopone i due a prove di resistenza, dolore fisico, sopportazione inumani; le notti in cui spesso son costretti a vagare in cerca di un nuovo nascondiglio son foriere di paura, silenzio, buio:
L’oscurità in cui si svegliava in quelle notti era cieca ed impenetrabile. Un’oscurità che faceva male alle orecchie a forza di ascoltare… Non un suono oltre al vento, agli alberi anneriti. Una vecchia storia. Inseguire la verticalità. Non c’è caduta che non vada per gradi… Verticalità rispetto a cosa? Un’entità senza nome nella notte, vena o matrice. Accanto alla quale lui e le stelle giravano come un unico satellite. Come il grande pendolo nella sua rotonda che segna i lunghi moti giornalieri dell’universo di cui sembrerebbe che non sappia nulla e tuttavia non può sapere.
In un mondo simile non esiste più nessuna bellezza, se non i ricordi e i sogni a cui si aggrappa l’uomo e l’amore smisurato per il proprio figlio:
Le storie che raccontava erano sospette. Non poteva ricostruire il mondo perduto per compiacerlo senza trasmettergli anche il dolore della perdita, e pensò che forse il bambino lo sapeva meglio di lui.
Colpisce come proprio un bimbo, che dovrebbe avere l’attaccamento maggiore verso la vita, vacilli spesso, perché vivendo un presente fatto di orrore, non conoscendo il passato (perché nato nei giorni dell’Apocalisse) e non sperando in un futuro che non riesce a immaginare, deve affidarsi unicamente ai racconti del padre, che lo rincuora e a cui ogni giorno rivolge domande angoscianti, aggrappandosi alla dignità e alla bontà che l’Essere Umano, per potersi definire tale, deve mantenere nonostante tutto:
Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora. Non c’è un dopo. Il dopo è già qui. Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un’origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri. Ecco, sussurrò al bambino addormentato. Io ho te.
McCarthy riesce con una prosa che è lirica a farci sentire dolore, paura, pietà, pena, smarrimento, alienazione per ciò che circonda padre e figlio, che non hanno nome e rappresentano il passato, il presente, il bene, il male a cui si è costretti in tempi violenti e crudeli, ma anche immenso amore, bellezza, generosità spinta alle estreme conseguenze, speranza che si fa largo nella seconda parte del testo, quando tutto sembra ormai perduto, attraverso questo dialogo d’amore tra i due e la lotta per la salvezza, intervallato solo dalle parole scambiate con un vecchietto incontrato per strada e da incontri ora spettrali, ora cruenti, pericolosi.
L’autore ci forza a trovare pienezza del senso di rinascita interiore, dato che ogni situazione e ogni paesaggio paiono non offrire scampo, nella bellezza che nasce dall’amore, dai ricordi, dal futuro che verrà e tutto sommato dalla Redenzione, dalla fiducia nel cambiamento e nelle generazioni future.
Cormac McCarthy
La strada
Einaudi, 2014
pp. 220