L’investigatore privato Nero Wolfe e il suo assistente Archie Goodwin vengono contattati per risolvere il caso dell’omicidio di Carlo Maffei e, tra serpenti velenosi e mazze da golf, riusciranno a smascherare un complotto macchinoso e ben congegnato.
Non credevo di essere proprio io a dirlo, eppure ci sono romanzi che passano di moda. Io che amo gli scrittori russi dell’800 e che impazzisco per i volumi con quella patina giallastra che fa molto cantina-di-mia-nonna, ho trovato questo libro antiquato e superato da secoli e secoli. Ok, Nero Wolfe sarà pure un personaggio che ha fatto scuola e nell’immaginario comune il suo creatore è tra i precursori del giallo intellettuale, ma voi ce li vedete Lucarelli o Camilleri – solo per citare i moderni giallisti nostrani – dilungarsi in descrizioni di luoghi, comportamenti, abitudini bizzarre che poco, o nulla, hanno a che fare con la risoluzione del caso?
Ma il problema in realtà non è solo nella trama – che, per inciso, ho trovato piatta, senza mordente e mai veramente avvincente – bensì anche e soprattutto nello stile: Rex Stout ha un modo di scrivere un po’ ammuffito – come la copia che ho tra le mani, d’altronde. Usa termini obsoleti che forse andavano bene 60 anni fa ma oggi non si sentono più. Voglio dire, anche Agatha Christie pubblica negli stessi anni, ma i suoi libri non hanno perso neanche un briciolo del loro fascino. E lo stesso vale per George Simenon: i suoi personaggi sono attuali e credibili, la sua penna è moderna oggi come lo era allora.
Riconosco che il personaggio di Rex Stout abbia dilettato i suoi contemporanei e gli appassionati del genere tra gli anni ’60 e ’90, ma oggi è una lettura anacronistica che non mi sentirei di consigliare. In primis, perché è difficile oggi dare credibilità ad un investigatore che non si serve dell’analisi del DNA, del rilevamento delle impronte o delle intercettazioni telefoniche. E poi, detto francamente, non mi ha ispirato molta simpatia questo detective vizioso, che si diletta a risolvere casi standosene tranquillamente tra le sue quattro mura e lasciando fare tutto il lavoro “sporco” al suo assistente Archie Goodwin. Va bene creare la macchietta, il personaggio memorabile, strambo e maniacale, ma dare un po’ di spazio all’azione no? Dopotutto sempre di un giallo si tratta…