Yeong-hye è una donna ordinaria, quasi banale, finché di punto in bianco, in seguito ad un incubo, decide di non mangiare più carne. La famiglia, in primis il padre dispotico e autoritario, non prende bene la sua scelta e reagirà in modo inaspettato.
La vegetariana, romanzo d’esordio della scrittrice coreana Han Kang, racconta la vicenda di una donna e della sua rivoluzione silenziosa.
La protagonista è Yeong-hye, ma di lei noi lettori non conosciamo quasi mai il pensiero diretto – di fatto ne sentiamo a stento la voce, a volte si limita ad un sussurro, altre volte il suo è il grido animalesco di chi si sente braccato.
Le vite degli animali che ho divorato sono tutte piantate lì. Il sangue e la carne, tutti quei corpi macellati sono sparpagliati in ogni angolo del mio organismo, e anche se i resti fisici sono stati espulsi, quelle vite sono ancora cocciutamente abbarbicate alle mie viscere.
All’inizio del romanzo veniamo a conoscenza del motivo per cui ha deciso di diventare vegetariana – anzi, vegana – ma da lì in poi tutto ciò che deriva da questa sua nuova attitudine la scopriamo come riflesso a ciò che di lei pensano il marito, il cognato e la sorella. Di lei resta un pallido riflesso delle percezioni altrui.
Se inizialmente le sue scelte alimentari riflettono un comprensibile tentativo di liberarsi dei vincoli e delle convenzioni che le ha imposto da sempre la società – nelle vesti del padre prima e del marito dopo – col passare del tempo il suo diventa l’istinto di chi vuole spogliarsi di tutto, perfino del suo stesso corpo, per travalicare il limite del mondo umano e trasformarsi in vegetale. Il suo corpo rifiuta qualsiasi cibo, ha bisogno solo di acqua e di luce solare; le sue mani vorrebbero affondare nella terra morbida, ma trovano solo la superficie dura del pavimento. In pratica si sta trasformando in un albero.
È nella terza parte – la più intensa ed emozionante – che si capisce il substrato da cui vengono le due sorelle ed è lì che vanno ricercate le cause di questo atteggiamento autodistruttivo. Ridurre il proprio corpo a un ammasso di pelle senza grasso, annullarlo è il modo per rinnegare tutto ciò da cui viene. Distruggere se stessa per distruggere ciò che rappresenta: una donna asservita all’uomo-padrone. Nei pensieri della sorella c’è un dolore condiviso per i torti subiti:
Non aveva saputo perdonarle di essersi involata da sola al di là di un confine che lei non era mai riuscita a varcare, non aveva saputo perdonare quella meravigliosa irresponsabilità che aveva permesso a Yeong-hye di liberarsi delle costrizioni sociali, lasciandola indietro, ancora prigioniera. E prima che Yeong-hye spezzasse quelle sbarre, lei non sapeva neppure che esistessero.
Pur non essendo un’esperta di narrativa asiatica, mi sembra che il romanzo sia molto orientale, per quelle atmosfere oniriche che irrompono nella realtà travolgendola completamente. Come già in Murakami, il sogno acquista una valenza essenziale perché è portatore di messaggi premonitori, spesso malauguranti.
La vegetariana è un romanzo molto intenso, difficile da scrollarsi di dosso una volta girata l’ultima pagina.