Da poco uscito di prigione, Anders l’Assassino incontra il pastore Johanna Kjellander e il portiere di un motel Per Persson e con loro mette su una società che ha come fonte di guadagno le violenze operate dall’ex galeotto. Se non fosse che questi comincia a fare propri gli insegnamenti di Gesù e agli altri due malviventi toccherà inventarsi una nuova attività per fare soldi facili.
Mio malgrado, faccio parte di quella schiera di lettori che sente di dover arrivare alla fine di un libro prima di tirare le somme. Invece in questo L’assassino, il prete, il portiere è tutto chiaro praticamente da subito. Cosa? Che neanche Jonas Jonasson sa cos’altro inventarsi dopo le rocambolesche avventure de Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve (davvero esilarante) e L’analfabeta che sapeva contare (meno originale, ma ugualmente divertente). Una lenta discesa agli inferi, quella dell’autore svedese.
Questo terzo romanzo è di una lentezza disarmante e manca in toto di quel brio e di quella spigliatezza che avevano contraddistinto i primi due lavori. Si va avanti pagina dopo pagina nella speranza che si arrivi ad un momento topico qualunque: ironico, sentimentale, perfino tragico purché qualcosa succeda… ma non succede!
E purtroppo non è la lentezza il suo difetto più grande, ma la ripetitività: stesse situazioni, stesse conversazioni che si ritrovano a distanza di un centinaio di pagine. Sembra proprio che l’autore non sapesse più come allungare il brodo.
Si è capito, questo libro non mi è piaciuto e personalmente ritengo che risponda esclusivamente ad esigenze di marketing e niente più. Inutile aggiungere altro…