Per paura di essere avvelenato, il Führer assume dieci assaggiatrici per testare il cibo prima che arrivi sulla sua tavola; tra loro c’è Rosa Sauer, berlinese fuggita dalla capitale e ospite dai suoi suoceri a Gross-Partsch. Attraverso la sua esperienza, seguiamo le grandi manovre decisive per la fine della guerra.
Vincitore del Premio Campiello 2018, Le assaggiatrici di Rosella Postorino è un romanzo che prende spunto dalla vicenda personale della berlinese Margot Wölk, una delle assaggiatrici di Hitler nella caserma di Krausendorf.
Sedute alla stessa tavola, dieci donne condividono il pasto che un’ora dopo verrà servito al Führer, e tra loro nascono amicizie, alleanze, diffidenze e vere e proprie inimicizie.
A unirle un destino comune di fame e paura. In tempo di guerra e di carestia, loro sono privilegiate che mangiano tre volte al giorno prelibatezze che il resto della popolazione non sogna neanche più, eppure ogni boccone ingerito è potenzialmente letale.
Si può smettere di esistere anche da vivi.
Il romanzo parte un po’ col freno tirato, tanto da farmi dubitare di un giudizio positivo a lettura ultimata. Eppure – ma questo si scopre solo dopo la metà – incontri che sembrano insignificanti e personaggi che ritenevo comparse marginali si sono rivelati importanti non solo ai fini della vicenda personale di Rosa Sauer, ma della Storia con la s maiuscola.
Tra tutti, la figura del tenente Albert Zieger spicca per l’ambivalenza che è propria di quel periodo: il suo contegno austero nell’adempimento delle proprie funzioni fa da contraccolpo ad un’interiorità sensibile, al bisogno di tenerezza, alla necessità di un contatto umano.
La storia tra Rosa e Albert non è centrale nel romanzo, ma è tratteggiata come uno dei tanti spaccati inquadrati in questa vicenda. La questione di fondo è: si può amare in tempo di guerra? Nonostante la fame di calore umano, le priorità sono altre: sopravvivere, in primis.
Tornai a pensare che non avessimo il diritto, noi, di parlare d’amore. Abitavamo un’epoca amputata, che ribaltava ogni certezza, e disgregava famiglie, storpiava ogni istinto di sopravvivenza.
Certo, resta il rammarico di non sapere come si è conclusa la vicenda personale del tenente Zieger, di Elfride, di Maria Stauffenberg, di Lena e delle altre assaggiatrici. Ma a questo proposito ho dato una mia interpretazione, ossia che la Postorino abbia volutamente lasciato in sospeso il destino di ciascuno di loro per far identificare noi lettori con le incertezze che hanno caratterizzato il ritorno alla normalità dei sopravvissuti alla guerra.
Ad ogni modo l’autrice riesce a scrivere una storia inquadrata in un periodo così doloroso senza scivolare in facili sentimentalismi, in una retorica fintamente lacrimevole.
Insomma, a mio giudizio il romanzo è buono. Da romantica quale sono, avrei preferito che fosse dato più spazio alla storia d’amore, ma capisco che l’intento era quello di riportare il clima di tensione che si respirava nei dintorni del quartier generale del Lupo.