In seguito a una delusione d’amore, lo scrittore Joël Dicker decide di trascorrere le vacanze al Palace de Verbier. Qui, con l’aiuto di un’aiutante improvvisata, si mette a indagare su un caso irrisolto da oltre quindici anni: il delitto di un famoso banchiere trovato morto durante la celebre annuale della banca Ebezner.
L’enigma della camera 622 è l’ultimo romanzo dell’ormai famosissimo Joël Dicker, che unisce il classico genere giallo con riferimenti personali dell’autore stesso (con un omaggio all’editore che lo ha scoperto e reso celebre).
Due sono i filoni lungo cui si dipana la narrazione: da una parte l’ambizione di far carriera e di essere rispettato grazie alla posizione sociale ed economica; dall’altro c’è invece il desiderio di passare tutta la vita al fianco della donna dei propri sogni. Questi due obiettivi sfiorano in fasi diverse i protagonisti del romanzo, mettendo sui piatti della stessa bilancia ora l’amore, ora il potere. Ma non è tutto qui. È il diavolo a muovere le fila dei personaggi giocando con i loro desideri e facendo proposte che mettono in crisi la loro scala dei valori.
Ma chi è veramente il diavolo? E perché si diverte a mischiare le carte in tavola?
Quest’ultima creazione del giovane Dicker è una storia intricata che si snoda su più piani temporali – troppi, a dire il vero – ma che però purtroppo si regge su una serie di malintesi e coincidenze fortuite, ed è solo alla fine che i nodi vengono al pettine e si capisce di essere caduti in trappola…
Cosa siamo capaci di fare per difendere le persone che amiamo? È da questo che si misura il senso della nostra vita?
Joël Dicker è una certezza se si cerca un thriller che tiene incollato alla pagina e regali qualche ora di evasione allo stato puro. E per tre quarti del libro anche L’enigma della camera 622 riesce nell’intento.
Detto questo però l’impressione è che l’autore allunghi il brodo oltre ogni plausibile ragione. L’intreccio narrativo è eccessivamente inverosimile con alcune situazioni decisamente forzate e coincidenze troppo smaccate per reggere l’intero impianto strutturale.
Nei primi tre romanzi – Gli ultimi giorni dei nostri padri, La verità sul caso Harry Quebert e Il libro dei Baltimore – l’autore aveva usato registri diversi e aveva dato alle stampe opere profondamente diverse tra loro. Ma già con La scomparsa di Stephanie Mailer, e ancor più con L’enigma della camera 622, la mia impressione è che si sia comodamente seduto su un genere standardizzato di giallo, in cui tutto ha il sapore del già visto. A mio avviso dovrebbe fermarsi a riflettere se quel che è meglio per lui sia produrre romanzi in serie di facile consenso di pubblico o prendersi il tempo per sviluppare un’idea nuova e non banale. Le carte per riuscire in grandi cose ce le ha tutte.