Catena, accusata di essere non solo un’assassina ma anche una strega, viene rinchiusa in attesa della condanna a morte. È qui che ripercorre le tappe della sua vita, una vita calpestata e oltraggiata a più riprese.
Finalista al Premio Calvino, L’imperfetta è il romanzo d’esordio di una brillantissima e promettente penna nostrana, quella di Carmela Scotti. La storia di Catena è la storia di una donna di fine Ottocento – donna nonostante i suoi appena quindici anni – di una forza e di un coraggio fuori dal comune, una donna che non si piega ai soprusi, una donna che ha il potere di salvare la vita degli altri ma senza poter nulla sulla propria, di vita.
I tempi della narrazione sono calibrati tra passato e presente: alla rielaborazione dei fatti avvenuti l’anno precedente si alterna la descrizione della prigionia, dei maltrattamenti, delle condizioni in cui versa la protagonista.
Per difendermi, lascio andare tutto ciò che di me è duro, denti, schiena, pugni, piedi, e divento acqua che non si può trattenere. Da quanto la mano prende la rincorsa e colpisce? Un’ora, due, tre, quattro? Qui sotto anche il tempo ha i piedi legati ai ceppi. Vorrebbe andare e inciampa, ricade, a volte si rialza a volte no. Ha il passo ubriaco, ha il passo arrugginito, si piega in avanti, ha catene legate a caviglie invisibili. Il tempo si arrende, non passa ma cade, e quando il cuoio scende sulla pelle sembra rotolare da una montagna altissima, e tutto dura anni, rallenta, si ferma; sulle ferite si formano croste dure e marroni.
Quello che descrive l’autrice è uno scenario crudele e bestiale – verrebbe da dire apocalittico, se non fosse che la storia del mondo è piena di queste stesse brutalità. Donne indifferenti nei confronti dei propri figli, uomini che bruciano corpi di altri uomini, morti o vivi (gli untori), in una Sicilia rurale, primitiva, in cui la gente crede al malocchio, in cui i genitori abbandonano i figli al loro destino, in cui la violenza è l’unica soluzione per sopravvivere.
E lei, Catena, ha occhi per vedere la tragedia, ma niente la ferisce più. Non prova pena neanche per il suo stesso corpo usurpato. Solo nel rievocare il ricordo del padre morto prematuramente trova un pizzico di serenità e un senso di protezione.
Ci sono dolori che nessuna erba del campo può guarire. Io sono nata da una radice di dolore, la felicità non so com’è fatta, se ha faccia, mani o bocca per parlare. Ci sono dolori che non si rompono, che sono duri più delle montagne, e se incontrassero la felicità, la schiaccerebbero come una formica.
La scrittura di Carmela Scotti è poetica, evocativa. Si avverte una ricercatezza nella scelta delle parole, nella musicalità di ogni frase, ma mai che tutto ciò risulti artefatto o finto, un puro esercizio stilistico.
Le quasi 200 pagine di questo libro si snodano in un crescendo di emozioni che serrano la gola. Un libro davvero toccante. Un libro da non perdere.