Stasia, la figlia del pasticcere, nasce nel 1900 in Georgia e per quasi cento anni sarà la custode della ricetta segreta della cioccolata che, con il suo potere magico, può portare la felicità ma anche devastanti tragedie a chi ne abusa. Con la sua forza d’animo, veglierà su tutti i componenti della famiglia, accompagnata dai fantasmi di chi è morto prematuramente.
L’ottava vita (per Brilka) è un romanzo della scrittrice georgiana Nino Haratischwili in cui si mescolano gli elementi di una saga familiare lunga un secolo, l’ambientazione storica e un pizzico di realismo magico che stravolge le sorti della famiglia Jashi.
È un mondo perlopiù femminile quello descritto dall’autrice. Donne molto differenti tra loro, a partire dalla progenitrice Anastasia, pilastro della famiglia e circondata dai fantasmi delle persone che ha amato e ha perso. Sua sorella Christine, una donna di una bellezza disarmante, e sarà proprio quella bellezza che la porterà all’infelicità, la renderà schiava della brama altrui, le strapperà l’uomo che ama, forse troppo debole per combattere per lei o amaramente consapevole di non poter far nulla per salvarla dal suo destino di donna ammaliatrice.
La giovane e ribelle Kitty, che è poco più di una bambina quando scopre l’amore. Così spensierata, così gioiosa e incosciente nel non rendersi conto di qual è la situazione che sta esplodendo intorno a loro e che si lascia soggiogare dall’istinto senza pensare alle conseguenze di un gesto scellerato e pericoloso.
Le sorelle Daria e Niza, tanto l’una è scapestrata e istintiva, quanto l’altra è riflessiva e posata. È proprio Niza la narratrice, colei che ripercorrendo le vite dei membri della famiglia rivive ogni momento sulla sua pelle e lo depone nelle mani di Brilka, la destinataria di questa monumentale saga familiare, colei a cui spetta l’ottava vita, quella degna dell’eternità.
La mia vita, dunque, comincia esattamente nell’anno 1900, quando Stasia venne al mondo in uno degli inverni più freddi. Allora venni al mondo anch’io, e venisti al mondo anche tu, Brilka. La mia infanzia non ha inizio nel 1973, no, comincia molto prima, scende molto più in profondità […] La rivoluzione come la guerra, i morti come i vivi. Tutte queste vite, queste persone, tutti questi luoghi sono così impressi nella mia mente, sono così presenti che ho cominciato a vivere con loro.
Un mondo perlopiù femminile, se si considerano anche Sopio, Ida, Mariam, Amy, Fred, Lana, Elene, Nana, senza le quali mancherebbe un pezzo del mosaico complessivo della storia. Donne che in un modo o nell’altro sono anticonformiste e ribelli, che sfidano la sorte e vanno incontro al loro tragico destino a testa alta, con dignità, con coraggio.
Gli uomini non mancano in questa storia ma sono distanti, tenuti lontani dalla guerra, dalla carriera, dalla politica. Sono incapaci di vedere realmente nel cuore delle loro donne, siano esse mogli, madri, figlie, sorelle, nipoti, e questa distanza siderale ha reso le donne più forti, più emancipate e artefici del proprio destino.
Uomini come Kostia, pronto a morire per la patria, abituato a comandare e che non tollera la disobbedienza all’interno della sua famiglia; l’ingenuo Andro che si è lasciato affascinare dall’idea di una Georgia libera dal dominio russo e che ha pagato quella scelta con anni di dolore e di disperazione; e infine Miqa e Miro, vittime anche loro di un regime autoritario che non lascia spazio alla felicità.
In queste pagine entrano in scena tutti i sentimenti umani. C’è l’amore incondizionato, l’amore tradito, l’amore ostacolato che è più forte di tutto ma anche quello che è costretto a piegarsi alla realtà dei fatti. C’è l’odio in tutte le sue varianti: la rabbia, il tradimento, il desiderio di vendetta. C’è la solidarietà, c’è l’amicizia, c’è il sentirsi in famiglia con persone che non hanno lo stesso sangue ma sanno dare affetto e comprensione. Ci sono esempi di resilienza senza pari tra le eroine di questa storia; quanto dolore riescono a sopportare: la perdita di un marito, di un figlio, la violenza, l’umiliazione, l’essere considerate inferiori pur avendo tutte le carte in tavola per essere delle grandi donne. Ma alla fine c’è il riscatto.
Sullo sfondo, ma in una posizione per nulla marginale, l’autrice racconta la storia della Georgia, uno staterello tra i più ignorati d’Europa, che però ha dato i natali a Stalin e a Berija, che si è profondamente legato alle sorti dell’Unione Sovietica tanto da non riuscire a liberarsi dalla dipendenza comunista e di diventare un paese indipendente.
Nonostante il romanzo sia un volumone di più di 1100 pagine, il ritmo della scrittura è sempre molto incalzante permettendo una lettura fluida e mai noiosa. Solo nell’ultimo capitolo mi è sembrato di leggere qualcosa di già letto, di assistere a qualcosa di già visto, ma nel complesso un libro imperdibile per chi ama le saghe familiari e non si fa spaventare dalla mole.