Francia 1895. Il capitano dell’esercito, Alfred Dreyfus, è accusato di essere un traditore al soldo dei tedeschi, e per questo viene condotto nella prigione sull’isola del Diavolo. Per vie traverse, il colonnello Picquart viene a conoscenza di fatti che dimostrerebbero che non è Dreyfus la spia, ma per provarlo rischia di mettere a repentaglio la sua carriera e la sua stessa vita.
Qualche giorno fa, entrando in libreria ho scelto questo libro perché mi sembrava la giusta continuazione de Il cimitero di Praga, poiché inizia proprio dove l’altro si interrompe: con l’Affare Dreyfus. A lettura ultimata posso dire che al di là del tema storico, le affinità tra i due libri finiscono qui. Manca totalmente la ricercatezza stilistica dell’opera di Eco.
Ma sto divagando. Non sarebbe giusto criticare un libro perché non è all’altezza di un altro. Torniamo allora a L’ufficiale e la spia.
Intanto iniziamo col dire che i fatti trattati da Harris sono realmente accaduti anche se romanzati e rivisitati a dovere. E ciò che si deduce da queste pagine è la consapevolezza che pur di coprire gli errori della politica si arriva a qualsiasi manovra, anche la più disumana.
Se il traditore non era Dreyfus, allora chi poteva essere? Tu? Io? Il tuo camerata? Il mio? Se invece era Dreyfus, quella caccia sfibrante sarebbe finita. Senza affermarlo, e nemmeno pensarlo, tutti noi speravamo fosse così.
L’ufficiale e la spia si dipana sulla scia dei romanzi di spionaggio alla Frederick Forsyth, anche se manca un po’ il piglio e l’azione serrata del genere, lasciando invece più spazio alla ricostruzione storica. In ogni pagina infatti si respira quella tensione e quella violenza che serpeggia nella Francia di fine Ottocento, una violenza che trova la sua ragion d’essere nello spiccato antisemitismo dilagante.
Sembra che tutto l’odio e le recriminazioni repressi dai tempi della sconfitta del 1870 abbiamo trovato sfogo su un singolo individuo.
Comunque la storia è interessante e il libro è tutto sommato ben scritto, ma il suo principale difetto è che non riesce a mantenere alta l’attenzione in tutte le sue parti. Inizia bene e man mano che si va avanti si prendono le misure di tutto: dei fatti avvenuti, dei molteplici personaggi, dello schieramento tra dreyfusiani e anti-dreyfusiani. Fino a metà libro si procede spediti e molto coinvolti. Poi però ci sono un centinaio di pagine davvero ostiche, perché troppo ridondanti e prolisse: Picquart informa delle sue scoperte prima uno, poi un altro, poi un altro ancora, perciò per il lettore, che lo ha seguito fin dall’inizio nelle sue manovre, è difficile non perdere il filo. Arrancavo ma non demordevo, anche se ammetto che, ad un certo punto, ero tentata di sospendere la lettura.
Invece le ultime duecento pagine scivolano via che è un piacere, con una spigliatezza più marcata: si assiste all’ultimo, decisivo processo con un’attenzione e una partecipazione nuova, soffrendo e sperando insieme all’uomo ingiustamente condannato e a colui che si è battuto in nome della giustizia.