Durante un soggiorno sulla costiera amalfitana un gruppo di ragazzi americani in vacanza vengono avvicinati da Raùl, un signore che dimostra di conoscere dettagli intimi di ciascuno di loro. In particolare, il misterioso signore dimostra interesse per Margot (che però continua a chiamare Maria), la quale è quella del gruppo a essere meno affascinata dalle sue prodezze.
Dopo aver letto Chiamami col tuo nome di André Aciman, ero incuriosita dal suo ultimo romanzo fresco fresco di stampa, L’ultima estate. Già dall’inizio si capisce che la vicenda prenderà una piega del tutto inaspettata, che ha un che di surreale e fiabesco.
Il personaggio di Raùl è per metà un guaritore e per metà un vecchio saggio che ne sa abbastanza da snocciolare massime sulla vita e soprattutto sull’amore. Il messaggio che cerca di trasmettere al gruppo di giovani americani è che ci sono sempre delle connessioni tra le persone, dei legami indissolubili che si creano e che persistono al di là del tempo e dello spazio. Insomma, per dirla in soldoni, l’amore vero non si esaurisce mai, ma cerca un varco spazio-temporale per ricongiungersi con la persona amata.
Ecco perché non bisogna perdere un solo attimo, una sola occasione che la vita ci dà per vivere appieno il sentimento amoroso.
« La maggior parte di noi vive la propria vita aspettando il giusto allineamento. Perché questo è la vita: una sala d’attesa. Pensate ai poveri morti, invece, che si portano nell’aldilà quanto stavano aspettando e attendono di tornare sulla terra per vivere di nuovo e aspettare ancora un po’. Meglio trascorrere un’ora a fare cose di cui ci pentiremo, piuttosto che aspettare una vita intera che il Paradiso tocchi le nostre vite.»
Senz’altro apprezzabile l’intento dell’autore; peccato però che la lettura si sia rivelata un minestrone di frasi fatte e moralismi futili.
Se nel precedente romanzo, Aciman aveva dimostrato di sapere scrivere bene e soprattutto di trattare con tatto e sensibilità tematiche molto attuali, in questo ho trovato la trama piuttosto scadente e la scrittura infarcita di luoghi comuni.
Purtroppo, a lettura ultimata, ho come l’impressione che l’autore avesse delle scadenze contrattuali più che un reale interesse a raccontarci una storia così banale.