Le sventure della famiglia Compson vengono scandite in quattro giornate (Sette aprile 1928, Due giugno 1910, Sei aprile 1928, Otto aprile 1928) e permettono di ricostruire il processo che ha portato alla rovina e al decadimento morale dei suoi membri.
Dire che L’urlo e il furore è un libro non facile è un eufemismo. Forse, in assoluto, il più complesso che mi sia capitato di leggere, tanto da averlo abbandonato per ben due volte prima di decidermi a superare l’impasse e portarlo a termine. E infatti l’impasse si supera, non subito e non del tutto.
La difficoltà è data in primis dalla modalità della narrazione che, seguendo il flusso di coscienza, procede avanti, torna indietro, si perde nei meandri della mente umana. E non di una sola per giunta, ma dei tre personaggi-narratori, i tre figli maschi della famiglia Compson, a cui viene data la parola nei primi tre capitoli. E se si considera che uno ha un ritardo mentale e un altro è un uomo in profonda crisi e prossimo al suicidio, si capisce perché nelle prime due parti la scrittura si fa contorta, sbanda di continuo, ripercorrendo episodi del passato e mescolandoli con i fatti correnti, infarcendoli di riflessioni contorte, proprie di una mente non lucida.
Il terzo capitolo, in cui a raccontare è il fratello “sano”, Jason, è più lineare ed è solo qui che si comincia (ma a stento) a rimettere insieme i pezzi del puzzle e a comprendere gli eventi che hanno portato la famiglia al collasso morale.
L’ultimo dei quattro capitoli è quello decisivo per chiudere il cerchio e sciogliere la matassa (e i tanti dubbi di noi lettori). Ma questa volta il punto di vista è estraneo ai Compson ma è quello della carismatica, paziente e saggia domestica nera, Dilsey, che tenta di mettere pace e ristabilire gli equilibri.
Le battaglie non si vincono mai. Non si combattono nemmeno. L’uomo scopre, sul campo, solo la sua follia e disperazione, e la vittoria è un’illusione dei filosofi e degli stolti.
I caratteri dei personaggi sono magistralmente delineati, ma non descritti: vengono fuori dalle azioni e dagli errori che commettono e dalla ricostruzione che di loro ne fanno i quattro narratori. In primis, Caddy che è l’unica di cui non sentiamo mai direttamente la voce ma che è un po’ il fulcro intorno a cui ruota l’equilibrio familiare: adorata da Benji, oggetto della morbosa gelosia di Quentin, accusata di essere la rovina del buon nome della famiglia da Jason. Caddy la peccatrice, Caddy la puttana, Caddy l’incestuosa.
Eppure, nonostante le colpe, quello che si prova per tutti i personaggi non è in fondo che compassione. Anche Jason – in tutto e per tutto delineato come il cattivo della storia, a volte gratuitamente crudele e cinico – ha un comportamento che altro non è se non la conseguenza delle scelte fatte da altri ma che ricascano sulla sua di vita, ed è lui che deve far fronte a tutto: un padre alcolizzato, una sorella libertina, un fratello ritardato, un altro privilegiato (forse anche ingiustamente) e una madre che non si prende nessuna responsabilità ma delega tutto a lui.
E a rendere ancor più opprimente la situazione, e a marcare quella decadenza sociale, economica e morale della famiglia, c’è come un sottofondo perenne: il pianto instancabile di Benji e la litania dell’infelice madre che tra malattie reali e immaginarie si lagna della sventura che le è toccata in sorte.
L’epoca è quella degli anni ’20, agli albori di quella crisi economica che coinvolgerà gli Stati Uniti nel ’29. E tra i tanti temi trattati c’è il crollo della borsa e la situazione dei neri.
L’urlo e il furore è un romanzo completo e complesso che sfida il lettore a entrare nelle sue trame contorte ma che lascia un segno indelebile dei suoi personaggi e dello stile del tutto particolare del suo autore. Da leggere!