Charlie Friend, un trentenne che tira a campare con il trading online, riesce ad accaparrarsi uno dei venticinque esemplari di androidi (tredici Eve e dodici Adam) e lo programma con l’aiuto della vicina di casa Miranda, di cui è follemente innamorato. Ma presto diventerà evidente che il limite di Adam e di quelli come lui sarà di non avere mezze misure, di non saper riconoscere le sfumature.
Tra fantascienza e distopia, Macchine come me di Ian McEwan racconta di un mondo popolato da 25 androidi dalle fattezze perfettamente umane ma dall’intelligenza superiore.
Il romanzo è ambientato in un 1982 più avanguardistico di quello che conosciamo, in cui la Gran Bretagna prende una sonora sconfitta nella guerra per le Falkland, i Beatles si sono riuniti e Alan Turing è scampato alla morte e lavora energicamente alla riuscita delle macchine del futuro.
Adam non solo ha una conoscenza apparentemente infinita sul sapere in senso lato, ma dimostra di avere più buon senso di tanti umani e di saper comprendere cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Contrariamente alle aspettative, Adam è una macchina in grado di provare amore, gelosia, rabbia, capace di fare battute di spirito e con una spiccata propensione per la poesia e la letteratura.
Nonostante il netto spartiacque tra esseri viventi e inanimati, restava innegabile che Adam e io eravamo vincolati alle stesse leggi fisiche. Chissà, forse la biologia non mi garantiva nessuno status speciale, forse significava ben poco ripetersi che la figura in piedi davanti a me non era viva a tutti gli effetti.
La trovata sconvolgente è che gli Adam e le Eve vengono travolti dalla brutalità degli uomini, dalla loro violenza e dalla crudeltà senza senso. Non sono programmati per comprendere quanto è avvenuto ad Auschwitz né per sopportare i danni climatici che l’uomo ha consapevolmente contribuito a determinare.
Il loro cervello non può concepire una bugia detta a fin di bene né la vendetta personale, perché per loro esiste solo la giustizia e la verità.
La scoperta delle incongruenze dell’essere umano destabilizza i robot e li porta verso l’autodistruzione, all’infelicità. Ma può un androide essere felice, provare sentimenti come li concepiamo noi? Adam si innamora, ha perfino impulsi sessuali, eppure non può esimersi dal condannare la donna che ama.
Il romanzo è costruito in modo magistrale, inserendo poco alla volta dati che serviranno per la stoccata finale, una risoluzione che lascia a bocca aperta, tanto è inaspettata e geniale.
Personalmente, ho solo trovato qualche difficoltà a seguire l’excursus sul progresso medico e scientifico che ha permesso di arrivare alla nascita degli Adam e delle Eve, perché – beata ignoranza! – non conoscevo nessuno degli illustri nomi citati e non è stato facile capire quale fosse il confine tra realtà storica e finzione letteraria.
Con Macchine come me McEwan si colloca a metà tra il paradosso de Nel guscio e la discutibile moralità messa in scena ne La ballata di Adam Henry. Impeccabile!