Marina è giovane, bellissima e ha una voce incantevole. Si esibisce nei centri commerciali e sogna di esibirsi sul palco di Sanremo, lasciandosi finalmente alle spalle il mondo di provincia da cui proviene; Andrea invece desidera ardentemente farla ripartire quella stessa provincia, e non chiede niente di più che una cascina, delle mucche… e Marina al suo fianco.
Chissà perché sono sempre un po’ scettica quando si tratta di leggere un esordiente italiano, soprattutto qualora se ne sia fatto un gran parlare. Perciò quando Acciaio è entrato nelle classifiche dei libri più venduti e ha vinto il Premio Campiello, ammetto di non essermi precipitata a comprarlo, anzi. Con Marina Bellezza ho superato le mie ritrosie e non me ne sono pentita – il che mi fa pensare che Acciaio sarà presto nella mia libreria!
Questa è la storia di un amore tormentato, vissuto all’estremo tanto nel bene quanto nel male: passionale e romantico ma anche disilluso, infranto e spesso preso a calci.
Quello che mi è stato chiaro già dalle prime pagine di questo romanzo è che Silvia Avallone sarà pure alle prime armi, ma è evidente che sa scrivere e sa intrattenere il lettore. Certo non senza qualche pecca. In primis, il titolo. Possibile che non abbia trovato un nome migliore per questa ragazza che di bellezza ne ha da vendere? È una scelta che davvero non ho capito…
Per il resto la trama non è male. Lei bella da far invidia a chiunque, gambe chilometriche, capelli biondi al vento, occhi penetranti. E una voce ammaliatrice. Eppure così egoista, banale e superficiale – e insopportabilmente odiosa! Lui così umanamente fragile, tenero e paziente con lei e talmente innamorato da perdonarle tutto e mettere da parte l’orgoglio pur di tenerla stretta a sé. Due mondi così diversi i loro, due prospettive di vita agli antipodi: Marina sogna le luci della ribalta, il successo, la tv, i soldi; Andrea insegue il suo Eldorado, una famiglia con lei in una cascina sperduta nel nulla, in perfetto stile “due cuori, una capanna”.
Le persone non cambiano perché non possono cambiare. Le persone come Marina non appartengono a nessuno, perché non riescono ad appartenere nemmeno a loro stesse.
Possono due universi così lontani trovare un punto d’incontro?
E qui arriviamo alla grande pecca di questo libro. Non mi dispiacciono i finali aperti, anzi. Ma qui davvero dà troppe possibilità di interpretazione, come se all’ultimo si tirasse indietro per non prendersi la responsabilità di infrangere o far avverare un sogno.
Quello che invece mi sento di enfatizzare in Marina Bellezza è il quadro molto ben dettagliato della vita di provincia in un periodo che, se è sfavorevole per l’Italia intera, lo è ancor di più in un piccolo centro abbandonato dai giovani. Se la crisi ha prodotto la fuga dei cervelli, questo romanzo propone una sua soluzione – utopistica? – per cercare di porre un freno a questa ondata migratoria.
Era strano. Per certi versi era addirittura trasgressivo: la Vodafone che prendeva e non prendeva, internet in un solo punto della casa, piantare i pomodori nell’orto, farsi quindici chilometri per mandare un fax o fotocopiare qualcosa. In fondo la sua era una generazione tagliata fuori da tutto, nata nel posto sbagliato al momento sbagliato. E allora tanto valeva ritirarsi sul confine. Tornare indietro, disobbedire.
Tornare al passato per guardare al futuro, quindi. Ma può funzionare? Forse. Intanto è la materia di questo romanzo leggero ma molto gradevole.