Noemi aveva un fratellino più piccolo, Andrea, un bambino bellissimo, biondo e con grandi occhi azzurri. Durante la festa di Carnevale, gli ha lasciato la manina e lui è sparito. Per anni i genitori hanno concentrato le energie solo sulla ricerca del figlio scomparso, dimenticando che lei, Noemi, è viva e vegeta, lì a un passo.
Dopo appena un anno dal grande successo de La più amata (finalista al Premio Strega 2017), Teresa Ciabatti torna in libreria con Matrigna, un romanzo ancora incentrato sul rapporto genitori-figli. Se nel precedente romanzo, la protagonista era la più amata da un padre autoritario, stavolta Noemi è la meno amata, la figlia di cui ci si dimentica perché gli occhi di tutti (anche quelli dei media) sono puntati sul piccolo Andrea. Anzi, sulla sua scomparsa.
Per tutta la vita Noemi si è sentita trascurata, invisibile, risucchiata in un dramma familiare che non le dà scampo. È solo con l’adolescenza che comprende che l’unico modo per avere una vita normale è allontanarsi da tutti, lasciare il paese natio e trasferirsi in una grande città dove nessuno conosca i suoi trascorsi.
La Ciabatti vuole esplorare il rapporto tra una madre e una figlia che ha risentito dell’anaffettività materna, ma qualcosa proprio non va. La protagonista e io narrante ripercorre alcuni episodi della sua vita, cercando di ricostruire la psicologia di una madre inafferrabile, matrigna in quanto cattiva genitrice.
E allude. Di continuo. Fino all’ultima battuta dell’ultima pagina la Ciabatti dice e non dice, tanto che non si capisce dove voglia andare a parare.
Il libro è strutturato come un insieme di ricordi, di episodi slegati tra loro sia passati che presenti, tra fatti reali, fantasmi frutto dell’immaginazione di una bambina e fantasie di una donna adulta. Insomma, prima ti porta su una strada, poi devia su un’altra, lasciandoti in un caos generale.
Personalmente, ritengo che non sapesse neanche l’autrice dove l’avrebbe portata la storia di Noemi e di sua madre (e ne è la dimostrazione un finale che non si chiude, o almeno non si chiude con una logica).
Ma il difetto che più mi ha infastidito è lo stile. Ampolloso, sincopato, retorico fino al midollo, che rispetta ben poco le più semplici regole della forma grammaticale, rendendo la lettura davvero difficoltosa.
Non so se la Ciabatti avesse delle scadenze da rispettare o semplicemente volesse cavalcare l’onda del successo del romanzo precedente, fatto sta che ha messo giù quattro idee sconclusionate e neanche troppo originali.
Un libro di cui avrei fatto volentieri a meno.