A Giverny, dove Monet ha dipinto le sue ninfee, si assiste a un’improvvisa ondata di violenza che sembra ruotare intorno a tre figure femminili: l’undicenne Fanette, la maestra Stéphanie e la vecchia strega che vive nella torre del villaggio.
Tre donne vivevano in un paesino.
La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista.
[…]
Le inferriate di Giverny si sollevarono per loro! Solo per loro, almeno così pensavano. C’era però una regola crudele: soltanto una poteva fuggire, le altre due dovevano morire.
Con Michel Bussi ho fatto un percorso a ritroso, iniziando la conoscenza con Non lasciare la mia mano e proseguendo con Tempo assassino, ma è con Ninfee nere che mi ha letteralmente stregato.
Come nei migliori gialli ci troviamo di fronte a un delitto violento, quasi un triplice omicidio dove però c’è solo una vittima (prima colpita a morte, poi accoltellata e infine affogata). Sembra anche lampante l’assassino; quello che manca è il movente: delitto passionale, traffico di opere d’arte o c’è di mezzo un bambino di undici anni in pericolo?
Le indagini vanno a rilento, probabilmente ostacolate dall’omertà della gente del luogo. Chi sa non parla e fa di tutto per mettere l’ispettore Sérénac e il suo aiutante sulla strada sbagliata.
Quello a cui noi lettori assistiamo è il racconto della vecchia signora che con toni aspri e un cinismo fuori dal comune osserva, non vista, le mosse dei compaesani e della polizia.
Sappiate allora una cosa, una sola: in tutta questa serie di eventi non esiste la minima coincidenza. Niente è lasciato al caso in quest’affare, al contrario. Ogni elemento è al posto giusto nel momento giusto. Ogni pezzo di quest’ingranaggio criminale è stato sapientemente disposto, e credetemi, lo giuro sulla tomba di mio marito, niente potrà fermarlo.
Tutti i personaggi che entrano in gioco sono potenziali assassini, tutti magistralmente delineati nei loro lati più oscuri e torbidi – motivo per cui prima o dopo tutti finiscono nel mirino del lettore che cerca di risolvere il rebus. Tre piste da seguire che si ingarbugliano e sviano dalla sola e unica verità, e niente è lasciato al caso: tutto è perfettamente orchestrato perché si arrivi a un colpo di scena coi fiocchi.
La cornice della vicenda è Giverny, ridente paesino della Normandia, dove ogni scorcio viene tratteggiato dalla penna di Bussi con una maestria paragonabile solo ai quadri del Maestro. Un paesaggio da sogno sì, ma è un “bel giardino ma con le inferriate”, una “scenografia cristallizzata” in cui i personaggi sono come imprigionati in un dipinto – un dipinto che non prevede (e non è preparato ad affrontare) una scena di sangue raccapricciante.
Se proprio si vuol cercare il pelo nell’uovo, un difetto in questo romanzo c’è ed è che non è disseminato da colpi di scena.
La partita si gioca tutta sul finale, con una rivelazione che lascia davvero di stucco e le ultime battute hanno il sapore dell’imprevisto e ripagano di tutte le aspettative maturate durante il percorso. Assolutamente da leggere!