Mirta è una donna moldava che si è trasferita in Italia per lavorare e mandare i soldi al figlio dodicenne rimasto in patria con la nonna. Quando però questa muore in un incendio, il piccolo Ilie rimane solo e Mirta è costretta a metterlo in un orfanotrofio, con la promessa di tornare a prenderlo dopo qualche mese e portarlo in Italia con sé.
Nella disperazione siamo tutti uguali.
Orfani bianchi di Antonio Manzini è un romanzo di forte attualità perché mette a nudo due realtà che purtroppo riguardano tutti: la questione degli stranieri in Italia e la solitudine degli anziani abbandonati a loro stessi.
Da una parte c’è la sofferenza di Mirta, una moldava volenterosa e disposta a fare i lavori più umili per cercare di garantire un futuro migliore al figlio Ilie, un futuro un po’ più roseo di quello che è toccato a lei. Costretta a difendersi da tutti quelli che la associano ai rumeni ladri, ubriaconi, violenti (lei che per giunta romena non è), per il bene del figlio arriva a compiere un atto indegno, ma la promessa fatta a lui conta più di qualsiasi lealtà verso altri emigrati come lei. È difficile estirpare il pregiudizio. Tanto vale comportarsi come ci si aspetta da te.
Fino a quando sarebbe stata colpevole per nascita? Fino a quando avrebbe dovuto sentire i piedi della gente sulla faccia senza poterseli togliere di dosso? Come se non avesse un orgoglio.
La fame te lo toglie, l’orgoglio. E ti toglie l’amor proprio, e la dignità. Come si fa a sopportare di essere colpevole di cose che non hai mai pensato? Solo perché altri quelle cose le fanno. Tutti i giorni. E quindi per riflesso le fai anche tu? Sarebbe mai arrivato il giorno in cui sarebbe stata considerata né più né meno che una donna e giudicata per le sue azioni?
L’altro dramma è quello della signora Eleonora, una donna sola nonostante una famiglia ce l’abbia sotto lo stesso tetto. Ricca in modo indicibile, viene trascurata dal figlio e della nuora e affidata sistematicamente alle cure della straniera di turno. Intrappolata in un corpo che non le risponde più, costretta su una sedia a rotelle con le giornate scandite da appuntamenti improrogabili con le medicine e i ricostituenti che la tengono in vita, con i pasti proteici ridotti in pappa, Eleonora vive un’esistenza che non può più chiamarsi vita. Il lusso sfrenato, i gioielli, la villa a tre piani con giardino in pieno centro storico di Roma non possono ridarle la giovinezza. Quella in cui vive è un gabbia, dorata ma pur sempre una gabbia.
C’è poi un altro dramma nel dramma, che noi lettori percepiamo solo di rimando, come una minaccia lontana, ed è quella di Ilie, uno degli orfani bianchi ospitati nell’internat, un bambino che un genitore ce l’ha ma è lontano e non può occuparsi di lui. Un dodicenne che non aspetta altro che la sua mamma tenga fede alla promessa e lo prenda con sé.
Una storia toccante, in cui si viene colpiti allo stomaco dalla disapprovazione repressa di Mirta, dalla scontrosità di Eleonora, dalla disperazione di due donne tanto diverse ma accomunate dalla lotta quotidiana verso un obiettivo impossibile da raggiungere. Al mio primo approccio con Manzini non posso che dirmi entusiasta all’idea di avere tutta una produzione da esplorare.
One thought on “Orfani bianchi”
L’avevo letto anche io e mi aveva colpito molto.
Mi era sembrato solo eccessivamente catastrofico… per la serie mai una gioia, nemmeno piccina.
Era stato il mio approccio con l’autore e alla fine non ho più letto nulla di suo 🙁