Dopo la morte di Maria Do Ceu, i tre figli Vasco, Joana e Rita si stanno perdendo di vista. A tenerli uniti sono i pranzi di famiglia che il padre Tiago si ostina a organizzare a cadenza settimanale; sono pranzi fatti di non detto, in cui ognuno cova i suoi rancori per poi tornarsene a casa più affranto di prima.
Sei anni dopo lo struggente Ovunque io sia, Romana Petri torna a raccontarci le storie della famiglia Dos Santos in Pranzi di famiglia, riprendendo le fila proprio lì dove si erano interrotte: dalla morte di Maria Do Ceu.
Ovunque io sia, continuerò a stare anche qui. Questo il lascito di Maria per suo figlio Vasco, e in effetti lei in queste pagine è presente, non solo nei sogni e nei ricordi dei suoi tre figli, ma in tutto ciò che fanno, in tutto ciò che sono. Orfani e inetti a riprendere in mano la loro vita, Rita, Joana e Vasco si muovono come sospinti dalla presenza della madre, dall’ombra che lei continua a stendere su di loro.
Rispetto al precedente romanzo, Maria Do Ceu in queste pagine assume delle sembianze decisamente più umane: non è più l’eroina senza macchia e senza peccato, la donna integerrima che non sottostà ai tradimenti del marito, la madre che sa rispondere ad ogni bisogno dei suoi figli; è una donna e una madre come tutte le altre. Umanamente imperfetta. Ed è la sua scomparsa a rompere gli equilibri, già fragili, dei tre figli.
Avrebbero potuto abbracciarsi, dirsi che erano fratelli e si volevano bene, invece, come sempre, dominò il silenzio. Troppi pensieri e mai nemmeno una parola. “Si tace per tutta la vita sulle cose più essenziali” pensò Vasco. “Di questo silenzio, a volte, si muore”.
Il lutto per la perdita della madre, invece che avvicinarli, li ha allontanati. Tre fratelli che devono reinventarsi, che devono tagliare il cordone ombelicale che li ha tenuti costantemente legati a quella donna straordinaria che li ha cresciuti, che si è dedicata anima e corpo ai figli, rinunciando anche all’amore per loro. Maria: la loro forza, la loro ancora di salvezza, l’unico genitore che li ha amati e sostenuti dopo che il padre Tiago se ne è andato piegato dalle responsabilità di quella famiglia problematica. Maria no, Maria è rimasta e ha combattuto per offrire un futuro ai suoi figli. Come con Rita, la primogenita, nata con una grave malformazione al volto che nonostante i numerosi interventi chirurgici non riuscirà mai ad avere un viso piacente, una voce normale. E quella figlia deforme è il suo cruccio, una ragazza arrabbiata con la vita, aggressiva, posseduta da una furia animalesca ogniqualvolta percepisce sguardi di commiserazione intorno a lei.
Chi invece di quella dedizione nei confronti di Rita ne ha fatto una malattia è Joana: bellissima, di una bellezza che fa male (e fa male per prima a lei stessa, che se ne è sempre sentita in colpa). Ed è lei, Joana, con un marito, due figli, una deliziosa villetta fuori Lisbona, lei – apparentemente dei tre fratelli la più risolta – a non riuscire ad accettare il passato, a non perdonare la madre per le comprensibili manchevolezze, a disprezzare i fratelli che stanno cercando (e trovando) la loro strada.
E poi c’è Vasco. Ancora una volta è lui l’unico esemplare maschile ad essere del tutto positivo, laddove gli altri uomini della famiglia sono fedifraghi, egocentrici, schizofrenici, donnaioli. Vasco, con le sue malinconie, il bisogno di ricostruire i ricordi per andare oltre, scrivere il diario del passato per poter finalmente voltare pagina. Certo, non farà tutto da solo: nel suo percorso di crescita, un’importanza essenziale va attribuita alla pittrice italiana Luciana Albertini. Ed è l’arrivo di questa donna a sparigliare le carte e a portare lo scompiglio nella famiglia. È lei che accende la miccia e fa saltare il tappo che teneva imprigionati tutti i malintesi, le recriminazioni, gli odi taciuti per anni. E così, l’ultimo dei pranzi di famiglia si trasforma in una bagarre di voci piene di astio.
Il libro in sé non è male, anzi; si avverte una maturità stilistica notevole rispetto al precedente ed è disseminato di spunti narrativi interessanti. Eppure mi ha infastidito il fatto che l’autrice smascheri personaggi del passato (Maria in primis, ma anche la madre di lei, Margarida), snaturandoli da come erano stati rappresentati in precedenza. Ma soprattutto mi è mancato quel coinvolgimento emozionale che tanto mi aveva colpito in Ovunque io sia.
Ad ogni modo, aspetto con ansia il terzo capitolo della saga dei Dos Santos, La rappresentazione, per scoprire se lo scontro aperto dell’ultimo pranzo sia stato la fine… o, forse, un nuovo inizio per i tre fratelli, finalmente riappacificati.