Assaf, alla disperata ricerca della padrona del cane Dinka, la sedicenne Tamar, viene risucchiato in una vicenda tra pericolosi membri di un’organizzazione criminale, poliziotti aggressivi e loschi e maneschi figuri.
Qualcuno con cui correre è dichiaratamente una storia pensata per ragazzi ed è con questo animo (e un po’ di presunta superiorità) che ho iniziato la lettura del romanzo. Eppure, se pur la storia ha del paradossale – due ragazzini a zonzo per le strade di Gerusalemme e nessun adulto che si preoccupi per loro – trovo che la lettura sia adatta non solo ad un pubblico adolescenziale ma anche a chi giovane non lo è più già da un po’.
Cosa sta succedendo? pensò sfinita. Com’è cominciato tutto? Come ha fatto tutto questo a diventare la mia realtà, la mia vita? C’è un momento in cui si compie un piccolo passo, pensò, si devia di un millimetro dalla solita via, a quel punto si è costretti a posare anche un secondo piede e d’un tratto si finisce su un percorso sconosciuto. Ogni passo è più o meno logico, conseguente al precedente, eppure d’un colpo ci si trova in un incubo.
Il libro va sicuramente inserito nel filone del romanzo di formazione, poiché il percorso che Assaf e Tamar compiono, prima separatamente poi insieme, li porterà a capire il senso della vita – o, se non della vita in senso lato, almeno della loro vita di adolescenti.
Certo è che la loro esperienza non è proprio di quelle che un genitore si augurerebbe per il proprio figlio, ma la loro crescita interiore li rende più maturi dell’età che hanno, coraggiosi, sensibili, pronti a sacrificarsi per gli altri. Assaf è alla ricerca di una ragazza che neanche conosce ma che lo attira a sé senza un reale motivo; Tamar è alle prese con una ricerca ben più pericolosa: salvare una persona cara ad ogni costo, anche se questo può significare rischiare la propria pelle.
Nelle loro beghe si troveranno invischiati nella rete di un mercato di sfruttamento minorile dove giovani senza casa, senza genitori ma con una qualche dote artistica che li rende merce rara vengono manipolati, sfruttati e indotti nel tunnel della droga.
Ti senti completamente risucchiato, le aveva detto Shay al telefono, è una sensazione così forte che tu stesso desideri essere risucchiato, ti vorresti sentire fatto a pezzi, polverizzato. È come se volessi vedere quanto in basso puoi arrivare, è un impulso che si impadronisce di te e annulla la tua volontà. E tutto va in frantumi così in fretta, Watson…
L’incontro tra i due protagonisti segna un punto cruciale del romanzo e dà un senso a questa ricerca disperata di entrambi. È lì che risiede il messaggio che l’autore vuole trasmettere: l’amicizia (a mio parere, inutilmente tendente a qualcosa di più) è ciò che rende forti, perché sostenendosi a vicenda è possibile risolvere qualsiasi avversità.
Strutturalmente, il romanzo si snoda tra capitoli che seguono alternativamente le avventure dell’uno e dell’altra protagonista, creando delle aspettative al lettore che in questo modo viene risucchiato nella storia. Dal punto di vista lessicale l’unica pecca che gli si può imputare è che spesse volte lo stile è quello del Grossman dei romanzi più compiuti e più complessi (si pensi a Che tu sia per me il coltello), ossia tende ad essere ricercato e ridondante laddove la storia e il pubblico per cui è pensata non lo richiederebbero.