Matilde, insegnante in pensione, decide di lavorare come badante per il vecchio Giacomo ma i motivi che la spingono a rimettersi in gioco sono tutt’altro che chiari. Un segreto, un indicibile segreto, rischia di minare i rapporti con chi la circonda e logorarla da dentro.
Finalista al Premio Strega 2019, Quella metà di noi di Paola Cereda è una storia di incomunicabilità tra una madre remissiva e una figlia egoista. Matilde è una donna non più giovane ma costretta a rimboccarsi le maniche anche dopo la pensione per riuscire a tirare avanti; dal canto suo, Emanuela tratta sua madre con freddezza, si vergogna di lei, del lavoro che fa, rinnega le sue umili origini e dà peso ai commenti della gente, ai giudizi dei suoceri facoltosi.
Ci sono tante verità non dette tra loro, per pudore, per non deludere chi si ama, per vergogna, per nascondere la propria stupida ingenuità. E quel non detto finisce per diventare un muro invalicabile.
Di segreti di cui vergognarsi ne aveva uno soltanto che trattava al pari di una brutta malattia, invisibile allo sguardo degli altri eppure velenosa. Si vergognava ma non si sentiva in colpa, preda com’era dell’euforia da appropriazione indebita che danno gli sbagli commessi di nascosto e con piacere.
È difficile non appassionarsi alla storia di questa madre maltrattata, privata dell’affetto della figlia e delle nipoti, con un segreto che la tormenta e che non riesce a confidare a nessuno. Si prova pena per lei anche quando la prospettiva cambia e si viene a conoscenza degli errori commessi, madornali sì, ma compiuti in buona fede.
Matilde, per colmare il vuoto familiare, si circonda dell’amica ecuadoregna, del vicino di casa che sogna di sfondare come attore, del vecchio a cui fa da badante. La sua vita si arricchisce del peso della vita degli altri, dei dolori degli altri, dei rimpianti degli altri. Tutti loro, d’altronde, hanno un segreto custodito gelosamente, un rimpianto, un sogno mai realizzato, uno sbaglio da farsi perdonare.
Eppure nessuno di loro – neanche quel vecchietto di cui si occupa con dedizione e che diventa il motore della sua esistenza – riesce ad aprire una breccia nei suoi silenzi. Matilde è ermetica, chiusa in una corazza che usa per respingere gli altri e tenere nascosta la sua verità.
Poi ci sono i ricordi, quelli dolci che lasciano addosso un senso di malinconia, quelli che il tempo ha reso ancora più teneri, quelli che tengono a galla la speranza ma che, come contropartita, rendono più doloroso ogni giorno.
Il romanzo è incentrato sull’incapacità di trovare le parole giuste per raccontare se stessi, per cercare conforto nell’altro e, da psicologa qual è, la Cereda riesce a cogliere le sfumature di quel grande disagio che questa difficoltà provoca. Toccante!