Otto racconti che mettono in luce gli aspetti più torbidi della natura umana e portano a galla follie, angosce, superstizioni e ossessioni, in un viaggio delirante della mente.
Con i Racconti del terrore ho finalmente rotto il ghiaccio con Edgar Allan Poe. E il motivo delle mie riserve stava nel fatto che provo una non troppo velata avversione verso i racconti in genere – che per la loro brevità tendono a lasciarmi insoddisfatta. Ma devo ammettere che Poe è davvero un maestro nel creare la suspense anche in pochissime righe, calibrando ogni parola e ogni dettaglio in un climax di tensione verso l’inevitabile epilogo.
In alcuni racconti – ne Il gatto nero e Il cuore rivelatore per esempio – non c’è niente che il lettore non sappia già: nelle prime righe è il carnefice stesso ad autoaccusarsi del delitto, a esporre i fatti con estremo raziocinio, a spiegare il motivo che lo ha portato a commettere il delitto; eppure questa premessa non toglie vigore al racconto, anzi sembra rendere lo svelamento della vicenda ancor più incalzante.
Invece in racconti come La maschera della Morte Rossa e Il crollo della Casa degli Usher la situazione iniziale – apparentemente normale ma in cui già si avverte qualcosa di tetro e angosciante – viene stravolta dall’irruzione del sovrannaturale.
In un modo o nell’altro, comunque, il lettore sente sulla propria pelle la nevrosi del protagonista, la sua inquietudine, l’impazienza e l’inevitabilità della fine imminente. Sono totalmente sincera quando dico che, per alcuni di questi racconti, mi è capitato di rimanere in apnea. Pur sapendo che la fine è inevitabile ed è lì, ad una manciata di righe, resti col fiato sospeso, forse sperando in una conclusione più clemente. O forse, come dice Poe stesso, godendo della sua crudeltà.
La perversità è uno degli impulsi più primitivi del cuore umano, una di quelle facoltà o sentimenti primari non analizzabili che dirigono il carattere dell’Uomo […] Non proviamo noi una tendenza perenne, a dispetto di ogni nostra migliore saggezza, a violare ciò che è la legge, soltanto perché la riconosciamo tale?
Se però devo fare una critica, ho trovato che Poe rende al massimo nei racconti brevissimi, mentre in quelli più “corposi” – che comunque non superano mai la trentina di pagine – la dovizia di particolari finisce per diminuirne la tensione.