Ninni è un bambino che cresce tra la disapprovazione malcelata del padre e l’amore incondizionato della madre e della nonna. Negli anni della crescita, assisterà allo sviluppo economico del Paese e scoprirà l’importanza della cultura come unico lasciapassare verso un avvenire luminoso.
Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari è un affresco dell’Italia del dopoguerra visto attraverso gli occhi di un ragazzino che si fa uomo, tra la provincia lombarda e quella emiliana, per poi approdare in una Milano in fermento. Siamo negli anni Cinquanta e Sessanta, e l’Italia dà i primi cenni di ripresa, lentamente e non in modo uniforme: il frigorifero e più ancora la televisione diventano i simboli di un benessere che non è per tutti e crea una spaccatura tra le famiglie, tra compagni di scuola.
Lui, Ninni, è in un certo senso un privilegiato, viene da una famiglia perbene ed è spronato dalla nonna a leggere, imparare, scrivere. È lei a instradarlo verso l’amore per i libri, i quali in qualche modo scandiscono le varie tappe della sua vita – tratto probabilmente autobiografico, visto che l’autore è diventato un’istituzione nel campo dell’editoria.
Quella di Ninni è la storia di un ragazzo italiano come tanti, inquadrata nella sua normalità, nelle problematiche che tutti prima o poi devono affrontare, dal conflitto con i genitori al confronto con gli amici, dalla scoperta del sesso alle prime cotte adolescenziali.
Un romanzo che in tutta sincerità non ha nulla di eccezionale, nessun momento che faccia salare sulla poltrona. È scritto molto bene, questo sì, ma quello di Ferrari è uno stile un po’ antiquato, lento, monocorde.
Ragazzo italiano è un libro che consiglierei a chi quegli anni li ha vissuti e può quindi rivedere attraverso gli occhi del protagonista il clima di ripartenza economica e i cambiamenti sociali che ne sono derivati. Meno adatto invece a chi cerca un romanzo più lineare, con una trama avvincente con un principio e una fine.