Ricciardi e il suo fido braccio destro Maione si trovano a dover far luce sull’omicidio di una bella e famosa attrice, Fedora Marra. A spararle in scena, come da copione, è il marito Michelangelo Gelmi. Solo che il proiettile questa volta non è a salve, ma è vero… Chi l’ha voluta morta?
Maurizio de Giovanni quanto fa soffrire i suoi affezionati lettori, anche in questo Rondini d’inverno. Sipario per il commissario Ricciardi. Non bastano le infinite tribolazioni del cuore dei suoi personaggi – che anche questa volta non mancano di tenere col fiato sospeso – ma per risolvere un caso arriva perfino a mettere in pericolo la vita del suo intrepido protagonista.
Mi dispiace di aver sparato al commissario Ricciardi.
Cala veramente il sipario sul tanto amato commissario dai magnetici occhi verdi e dal cuore tenero ma tormentato?
Ricciardi e Maione sono alle prese con un omicidio passionale di quelli in cui il colpevole è evidente fin da subito. Non ci sarebbe molto da indagare, se non fosse che qualcosa non quadra per Ricciardi che, come sempre spinto dalle sue visioni macabre, vuole andare a fondo alla faccenda.
Lo scenario in cui si è svolto l’omicidio è il palcoscenico, un ambiente in cui realtà e finzione si mescolano, i sentimenti si nascondono e le lacrime possono non essere poi così sincere. Gli attori sono bravi a incantare il loro pubblico, ma non tutti sono disposti a farsi abbindolare.
Diversamente dagli altri episodi della saga, ho trovato che i personaggi principali hanno una marcia in più, sono finalmente più agguerriti per raggiungere il loro personale fine ultimo: la felicità. Tutti, indistintamente, sembrano animati da una forza nuova che li spinge a tentare, a sfidare la sorte pur di ottenere ciò che desiderano (anche se non per tutti i risultati saranno quelli sperati).
E, come sempre, non posso che lodare la capacità di de Giovanni di alternare le parti più avvincenti delle indagini con altre più emotivamente coinvolgenti: alcuni capitoli sono a dir poco poetici e fanno veramente sentire come sottofondo quel mandolino che intona stornelli d’amore in piena tradizione napoletana – le canzoni in questione sono Rundinella di Rocco Galdieri e Scétate di Ferdinando Russo.
Ed è impossibile non citare il capitolo sul sogno – di un’intensità rara, devo dire – in cui tutti i personaggi di questo romanzo mettono in scena i loro drammi, come fossero essi stessi attori della rivista. E così scopriamo gli amori, i dolori, i lutti, i sogni di tutti loro. E sono proprio i sogni quelli che animano questi giorni di fine anno, quelli che intercorrono tra il Natale e il Capodanno: il sogno di un amore che finalmente può uscire allo scoperto, il desiderio di fare la cosa giusta per il bene dell’amata, la speranza di salvare la vita di una persona cara – più d’una a dire la verità.
Perché è il sogno, proprio il sogno, la montagna più alta da scalare, l’abisso più profondo da esplorare. Il sogno, dove non avrete difese, dove la ragione non vi sarà d’aiuto. Il sogno, dove tutto è possibile e impossibile; dove volerete alto nei cieli, ma sarete anche feriti dal petalo di un fiore. Il sogno, dove camminerete schiacciati dal peso di un amore, dove non avrete il futuro a cui appoggiarvi per sfuggire al passato.
Quanta struggente malinconia in queste pagine, quanta poesia, quanta emozione!