Estate 1991. Daniele è in Romagna con gli amici quando decide di tornare a Roma in autostop. Misano Adriatico-Roma, senza soldi e senza documenti, con la spensieratezza dell’adolescenza e la fiducia nella generosità del prossimo. Ma non tutto andrà come previsto.
Dopo La casa degli sguardi (2018) e Tutto chiede salvezza (2020), Daniele Mencarelli chiude la sua personale trilogia del ricordo con un romanzo, Sempre tornare, che lo vede ragazzino all’avventura, alle prese con un viaggio in autostop tra la riviera romagnola e la capitale.
Bisogna guardare negli occhi tutto, con attenzione, dedizione. Sapendo che qualcosa comunque sfugge. Sempre. Non siamo padroni di niente, di nessuno. Non lo siamo di noi stessi. Figuriamoci delle macchine che passano, senza fermarsi.
Un viaggio che, al di là del semplice ritorno a casa, è anche un guardare dentro se stessi per capire di cosa si è capaci, chi si è e cosa è veramente importante. Un viaggio in cui si impara a chiedere aiuto e ad affidarsi al prossimo.
In 14 giorni Daniele incontrerà una carrellata di personaggi: Enrico con il corredo di avi che si porta dietro, in una villa con due campi da tennis, con gli amici ricchi a cui offrire banchetti sontuosi a bordo piscina; la signora Annamaria, chiusa nella sua solitudine con un rancore che si porta dietro da anni, mormorando preghiere con il rosario in mano e formule magiche che tolgono il malocchio; la giovane Emma, bella, vitale, entusiasta della vita che l’aspetta in giro per il mondo; suo padre Alberto, un vedovo intontito dagli antidepressivi, che non ha più nulla da dare agli altri, nemmeno alla figlia. Poi c’è Veleno che, a dispetto del soprannome che si porta addosso, è burbero ma in qualche modo generoso e amato (almeno a giudicare dall’affetto con cui lo ripaga uno stuolo di animali che gli ronza intorno come fosse un moderno Noè). Emilio: anche lui è rimasto solo, abbandonato dalla moglie e dai figli, piegati sotto il peso delle malelingue e del sospetto. Ci sono Agata e Amin, ricca e viziata lei, sottomesso e paziente lui; Manlio, il più desolante in questa panoramica, che affoga la disperazione nel cibo per non dovere dire ai genitori che il lavoro di postino lo rende infelice. Tutti loro hanno un vissuto pesante, un rimpianto, una nostalgia con cui devono fare i conti tutti i giorni. Tutti hanno un dolore che trascinano giorno dopo giorno.
E se da loro Daniele impara cos’è la solitudine, cos’è la solidarietà e quanto è importante il conforto degli altri, il suo viaggio non sarà tutto rose e fiori. Avrà modo di sperimentare anche la violenza gratuita, la cattiveria, la presunzione, rischierà persino la sua vita, ma è anche da questo che riuscirà a trarre il dovuto insegnamento.
Io sono qui perché devo capire.
Non posso più fare finta di niente.
Non è colpa mia se vedo ovunque una discendenza da scoprire, ovunque un enigma che chiede a me di essere risolto, come se fosse possibile.
Non è colpa mia se ogni gesto, sentimento, respiro, mi chiede da che parte stare, perché in tutto vive una battaglia, la stessa che mi porto nel cuore dal giorno in cui mi tolsero dal ventre di mia madre.
Ogni giorno nel mio petto esplode un duello, sempre lo stesso.
Un duellante si chiama Tutto. Il suo avversario si chiama Niente.
Eppure, in questa sua lunga avventura, Daniele non è mai veramente solo. A fianco a lui scorre la nostra bella Italia: Sassocorvaro, Urbania, Urbino, Gubbio, Assisi, Perugia, Spello, Terni, Narni, Civita Castellana, Rignano Flaminio, Poggio Mirteto.
Per ogni posto citato mi sono andata a cercare qualche pittoresco scorcio sul web ed è davvero un rammarico saperli a pochi chilometri eppure così sconosciuti.
Se è vero che il libro si legge con piacere, è altrettanto vero che non regge il confronto con il romanzo precedente. Se Tutto chiede salvezza è pervaso da un che di poetico che si sprigiona naturalmente dall’esperienza che il Daniele più maturo farà in un ospedale psichiatrico, in alcuni passaggi di Sempre tornare la ricerca di quella stessa poesia diventa forzata. È come se l’autore volesse cercare un senso più profondo anche in episodi che non chiedono niente di più che essere raccontati, senza fronzoli e senza retorica.