Stoner è la storia di un ragazzo, figlio di contadini, che da semplice agricoltore diventa uno studente brillante prima e un affermato professore universitario dopo. Ma nella sua vita sono poche le gioie e meno ancora le soddisfazioni.
Pubblicato per la prima volta nel 1965 Stoner è rimasto nel dimenticatoio per quasi 50 anni; poi nel 2012 qualcosa è cambiato e grazie al passaparola è diventato un bestseller in America e in Europa.
Il lettore viene accompagnato lungo tutta la vita di William Stoner, in cui a dire il vero non succede un granché. Stoner è il tipico personaggio “casa e bottega” che trascorre le sue giornate nell’ateneo in cui lavora e torna in una casa fredda e priva di calore umano. Nessun hobby, pochi amici, un matrimonio infelice, una figlia con cui cerca un rapporto troppo spesso ostacolato. Oggi diremmo un nerd, uno sfigato.
Quand’era giovanissimo, Stoner pensava che l’amore fosse uno stato assoluto dell’essere a cui un uomo, se fortunato, poteva avere il privilegio di accedere. Durante la maturità, l’aveva liquidato come il paradiso di una falsa religione, da contemplare con scettica ironia, soave e navigato disprezzo, e vergognosa nostalgia.
Ecco, qualcosa con me non ha funzionato. Non mi sono affezionata particolarmente e non ho provato empatia per questo personaggio. Semmai è vero il contrario: mi ha irritato per la sua mancanza di carattere e per l’eterna passività nel vivere la vita. E quando ho creduto che qualcosa stesse per cambiare, quando uno spiraglio si affaccia nella sua quotidianità tediosa, quando finalmente William sta per agguantare un pezzetto di felicità… mi ha deluso di nuovo.
Nella postfazione, Peter Cameron scrive che al termine della sua terza lettura non è “certo di averne colto il segreto”. Ecco, io non ho colto neanche che ci fosse un segreto da svelare! Dovrei seguire il velato consiglio di Cameron e rileggerlo per comprenderne tutte le sfumature? Chissà, forse un giorno…