In questa autobiografia Amos Oz tratteggia la storia della sua famiglia, i Klausner, una storia che si snoda per oltre 100 anni, mentre sullo sfondo imperversano le persecuzioni naziste, il terrorismo, la nascita dello Stato d’Israele e le guerre arabo-palestinesi. Ma su tutto, appena sfiorato come se fosse un tabù il solo parlarne, domina lo spettro del suicidio della madre.
Una storia d’amore e di tenebra è un romanzo corale, una saga familiare che si dipana su più piani temporali, dalle vicende dei bisnonni e del prozio a quella dei suoi genitori fino all’infanzia e all’adolescenza dello stesso Amos, con un continuo e spiazzante saltellare tra un passato prossimo a uno molto remoto, ma non meno vivido nella memoria. Poi la Polonia, l’Ucraina, l’America, Gerusalemme e Tel Aviv, il kibbutz di Hulda: un rimbalzare di luoghi e di ricordi legati ad essi. E strettamente intersecata alla personale vicenda umana, tanta storia della sua terra natia: l’Israele.
In questo panorama di brulicante vita si fa la conoscenza dei bisnonni sposi a dodici anni, della nonna ossessionata dall’igiene, del nonno profondo conoscitore e amante delle donne, del prozio letterato, dei nonni materni costretti a lasciare la Polonia per il crescente antisemitismo, della zia Sonia, memoria in vita delle origini materne. E poi un padre che, malgrado i meriti, non raggiunge mai il successo sperato, e una madre depressa che lo lascerà orfano a 13 anni. È a lei che sono dedicate le pagine più toccanti, intrise di rabbia, di rancore, di tenerezza e d’amore incondizionato. È a lei che fa riferimento quella “tenebra” del titolo che aleggia nella coscienza di un Amos ormai adulto.
Inoltre lo scrittore israeliano non disdegna di infarcire queste pagine di riflessioni molto intense sulla scrittura, sua grande passione fin dall’infanzia (anche in virtù di quell’ambiente di intellettuali in cui è cresciuto).
Quand’ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta…
Oppure:
Mamma mi disse che i libri erano capaci di cambiare, con gli anni, proprio come cambiano le persone, ma con la differenza che le persone, quasi tutte, prima o poi finisce che ti abbandonano, quando arriva il giorno in cui non ricavano da te più nessun profitto o piacere o interesse o quanto meno un buon sentimento, mentre i libri, loro non ti abbandonano mai. Tu sicuramente li abbandoni di tanto in tanto, i libri, magari li tradisci anche, loro invece non ti voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro ti aspettano sullo scaffale. Aspettano financo decenni. Senza lamentarsi.
Come ho detto, non è un libro che si legge con facilità. Le prime pagine – diciamo anche un’ottantina abbondante – sono le più faticose sia perché bisogna distinguere i protagonisti della storia dalle tante comparse (quasi tutti letterati a me sconosciuti o lontane reminiscenze dei libri di scuola) sia perché bisogna prendere confidenza con una scrittura magmatica, densa fino all’inverosimile. A volte i periodi sono così lunghi e contorti che ti sfugge il senso stesso della frase; altre volte ti perdi nel lungo elenco di strade e piazze dai nomi impronunciabili, altre ancora ti distrai quando si dilunga su descrizioni prolisse.
Ammetto che sono stata tentata di metterlo da parte, magari ripromettendomi di riprenderlo in un momento più favorevole – ma consapevole che in realtà quel momento non sarebbe mai arrivato. Ma sono andata avanti, e alla fine ne è valsa la pena, tant’è che, pur avendolo finito da giorni, non riesco a staccarmene del tutto.
Solo un ultimo consiglio: evitate l’edizione tascabile. I vostri occhi vi ringrazieranno!