Mineko è solo una bambina quando entra nella okiya di Madame Oima, una delle tante case per geishe di Kyoto. Inizia da qui il suo percorso di apprendimento che la porterà ad essere tra le geishe più eleganti e più apprezzate del suo tempo.
Dopo aver letto Memorie di una geisha di Arthur Golden ho appreso della controversia che ha visto l’autore del romanzo citato in giudizio per aver diffamato l’immagine delle geishe. A denunciarlo era la donna che lo aveva messo a parte della sua vita e dei misteri della professione, Mineko Iwasaki appunto, una delle più famose geishe di Kyoto. Storia proibita di una geisha nasce qui, dall’esigenza di raccontare la verità sulla sua esperienza personale e per riabilitare il buon nome di tutte le geiko.
Leggendo il libro, ho capito il perché la Iwasaki si sia sentita tradita e manipolata e perché abbia sentito il dovere di dire la sua. In effetti, il quadro che esce da queste pagine sulle abitudini e il ruolo di una geisha è tutt’altro rispetto a quello descritto da Golden. E infatti è praticamente impossibile riconoscere nelle protagoniste dei rispettivi libri lo stesso personaggio.
Detto questo, però, un romanzo – e soprattutto un buon romanzo – è un’altra cosa. Se Memorie di una geisha riesce a restituire al lettore un quadro perfetto della Kyoto dell’epoca, dando l’opportunità di respirare le atmosfere di una cultura tanto diversa dalla nostra, con questo libro tutto ciò non avviene. Storia proibita di una geisha si legge come un saggio più che come un romanzo in senso stretto. È un resoconto della vita di Mineko, né più né meno di una biografia, ma si sente che a scriverlo non è una scrittrice. C’è qualcosa nel suo stile che non convince del tutto.
Attraverso queste pagine si entra in un mondo per natura schivo e restio a farsi conoscere. Si apprendono le abitudini, gli sforzi, la passione che si celano dietro ad una vita improntata all’eleganza e all’intrattenimento.
Una geiko viene ingaggiata per divertire gli ospiti dell’ozashiki e i suoi invitati o le sue invitate. È lì per far star bene gli altri. Quando una geiko entra in un ozashiki deve avvicinarsi a chiunque sia seduto al posto d’onore e cominciare a conversare con lui. Non importa ciò che prova, la sua espressione deve dire: “Non vedo l’ora di avvicinarmi e parlare con te”. Se il suo viso dichiara: “Non ti sopporto”, quella donna non merita di essere una geiko.
Eppure non trasmette molto, non coinvolge pienamente. A volte è anche fin troppo piatto e monocorde. Non c’è vero pathos neanche quando Mineko affronta i sentimenti più profondi della sua anima.
Da lettrice posso dire che alla fine non è così essenziale che la materia trattata sia realistica se a sostenerla c’è una penna che ti trascina in un mondo sconosciuto, che ti emoziona e ti fa sognare di visitare quei luoghi. Nella diatriba tra Golden e Iwasaki, non ho dubbi a schierarmi dalla parte dello scrittore americano!