Nei mesi che precedettero il suo arresto e la deportazione ad Auschwitz, Irène Némirovsky compose febbrilmente i primi due romanzi di una grande “sinfonia in cinque movimenti” che doveva narrare, quasi in presa diretta, il destino di una nazione, la Francia, sotto l’occupazione nazista: ‘Tempesta in giugno’ (che racconta la fuga in massa dei parigini alla vigilia dell’arrivo dei tedeschi) e ‘Dolce’ (il cui nucleo centrale è la passione, tanto più bruciante quanto più soffocata, che lega una “sposa di guerra” a un ufficiale tedesco). Pubblicato a sessant’anni di distanza, Suite francese è il volume che li riunisce.
Ho appena finito di leggere Suite Francese di Irène Némirovsky. Devo attendere qualche minuto prima di esprimermi, devo ascoltare la natura del sentimento che mi ha lasciato la lettura di un bestseller come questo.
Il romanzo non è solo un libro, ma la testimonianza di un’epoca, gli anni ’40 e la Seconda guerra mondiale. In esso si legge la capacità di trovare gioia di vivere dietro le tragedie della guerra, di vedere amore e umanità là dove la storia ci testimonierà orrore e morte.
Suite Francese racconta anche la vita reale vissuta dall’autrice, ma questo lo si scopre dopo, solo alla fine, quando dopo la chiusura del romanzo, un altro si accoda al principale. Sono le accorate tracce epistolari del marito della scrittrice verso amici e conoscenti influenti, nel vano e straziante tentativo di salvare, rintracciare l’adorata moglie Irene, affermata scrittrice francese che, se pur battezzata cattolica, è di origini ebraiche.
Irene verrà arrestata e deportata verso il lento sterminio del campo di concentramento. Questa stessa sorte toccherà a lui, Michel Epstein, devoto marito di Irene. Le due figlie, Denise ed Élisabeth, amate come il bene più prezioso, scamperanno alla tragedia per puro caso, nascoste tra scantinati e conventi grazie agli amici della coppia, che lavorano in rete solidale.
Questa è la parte che annienta il lettore. Si assiste all’accanimento disperato di giustizia di Michel che non trascende mai nei fragori della rabbia pur avendone diritto. Le sue parole urlano sotto voce, in un supplizio composto, chiedono della sua amata Irene, che le si possa offrire un ultimo mazzolino di primule, per profumare di primavera le pagine che ancora avrebbe avuto da scrivere.