Questa è la storia di un cane, Truciolo appunto, che il “signore” regala alla “signora” per Natale e di come questa creatura non bella né elegante interagisce con gli abitanti della casa e col mondo esterno.
Truciolo è un romanzo sopra le righe, di difficile classificazione soprattutto se si considera quel nome sulla copertina – Sándor Márai – che non aveva mai dato segni prima di interessarsi al mondo animale.
Il romanzo si divide in tre parti. La prima è effettivamente troppo lenta – basti pensare che il protagonista, ossia il cane, entra in scena solo verso pagina 50.
Poi c’è la parte centrale che è uno spasso, esilarante, tenero. Chi ha (o ha avuto) a che fare con un cucciolo si ritroverà in quelle pagine e rivivrà l’impegno quotidiano dell’educazione e la soddisfazione delle prime passeggiate al parco.
Le ultime pagine invece le ho trovate di nuovo faticose da mandar giù, tanto che viene voglia di saltare i paragrafi – e non a caso è lo stesso Márai a scusarsi per “aver già abusato della pazienza del lettore”.
In certi passaggi del libro si ritrova la vena cinica dell’autore, quella capacità di mettere a nudo le debolezze umane. Così tratteggia le mode della società borghese nella Budapest degli anni ’30 e smaschera la consuetudine ormai dilagante di ricorrere alla psicoanalisi per curare qualsiasi disturbo, reale o presunto (tanto da portarci pure il cane).
La tendenza a metter su peso non dipende certo da fattori ereditari o da disfunzioni ghiandolari, da eccessi alimentari, da una vita sedentaria, da una propensione per le bevande alcoliche o dalla pigrizia in genere; […] quattro o cinque anni di analisi potrebbero recare grandi benefici.
Insomma, un libro con parecchi alti e bassi, ma ciò che salta all’occhio è l’intento di raccontare il rapporto uomo-cane in toni ironici e scanzonati. Ne esce un romanzo che non convince del tutto ma che fa scoprire un Sándor Márai più giocoso e goliardico (anche se non manca – d’altronde come sempre nell’autore ungherese – la tragicità della situazione).