Dopo aver visto Myriam in un gruppo di persone (ma un po’ in disparte), Yair le scrive una lettera e le propone di iniziare uno scambio epistolare. Il patto tra loro è che non si incontrino mai e che questa relazione abbia una scadenza: l’arrivo delle prime piogge autunnali.
Quando ho comprato Che tu sia per me il coltello, ero incuriosita all’idea di leggere un romanzo epistolare scritto ai tempi d’oggi, in cui la comunicazione è affidata a messaggini striminziti e le emozioni traspaiono (se traspaiono) da stravaganti faccine. Ho sperato di ritrovare in queste pagine la potenza della parola scritta che all’occorrenza può essere anche più dirompente di quella bisbigliata all’orecchio dell’amata.
David Grossman ci propone sì uno scambio epistolare ma a noi lettori è dato conoscere soltanto le lettere di Yair ed è solo da esse che si può ricostruire anche parte della storia e delle emozioni di Myriam.
In quel momento io sono entrato nella tua vita. Un momento un po’ strano e non felice, ma non ho avuto nemmeno il tempo di esitare perché ho visto il mio nome in fondo al tuo sorriso e mi sono tuffato.
Eppure, nonostante l’entusiasmo con cui ho iniziato la lettura, all’inizio mi sono sentita tradita nelle aspettative. Non c’è una vera trama, non c’è nemmeno un filone logico a cui aggrapparsi, ma solo un susseguirsi di pensieri – a volte sconnessi, quasi deliranti – a cui ogni tanto fa seguito qualche episodio di vita quotidiana o un ricordo dell’infanzia del protagonista. Ne esce una caratterizzazione del personaggio tutt’altro che positiva: Yair ha una carattere schivo, spesso inquieto e in effetti un po’ maniacale (uno che scrive 3-4 lettere al giorno ad una sconosciuta, spesso senza neanche ricevere risposta, oggi verrebbe accusato di stalking).
Di certo ti chiederai cosa voglio da te, tutt’a un tratto. Perché faccio impazzire entrambi in questo modo. Non lo so. So solo che ora ti desidero disperatamente. Ma sono anche sicuro che ci è proibito persino osare di porre un piede nella realtà. Tutto si scioglierebbe, perderebbe vigore, ricadrebbe nei soliti cliché.
Ma superato l’impasse iniziale – lo ammetto: saltando qua e là qualche paragrafo – si viene risucchiati in questo vortice di emozioni che, se pur mantengono uno strano effetto allucinogeno, travolgono totalmente e incondizionatamente.
Sensualità, amore, amicizia, genitorialità, tradimento. C’è tutto in questo libro. A volte fa sorridere, commuovere, indignare, vibrare di emozione…
Ed è solo alla fine, quando finalmente abbiamo il punto di vista di Myriam, che molti nodi vengono al pettine e scopriamo se la relazione di questi due amanti clandestini prenderà una piega meno platonica. E personalmente è in questa parte che ho provato un totale coinvolgimento ed è nata una dirompente indignazione.
Potrei dire che la nota stonata del libro è il finale e che ne sono rimasta parecchio delusa. Ma, a pensarci meglio, un romanzo così sopra le righe non poteva che concludersi in modo bizzarro e al limite del vero. In definitiva, è in perfetta sintonia con tutto il testo.
Ad essere però completamente onesti, un limite c’è (e non di poco conto): non è un libro per tutti. E non lo dico come per mettermi su un immaginario pulpito a sfoggiare chissà quali doti intellettuali (che in effetti non ho), ma al contrario, per mettere in guardia da una scrittura che può risultare artificiosa e da una trama che è praticamente assente. Io per prima mi annoio se la narrazione procede a rilento, ma tant’è… che questo romanzo l’ho adorato!
2 thoughts on “Che tu sia per me il coltello”
Al contrario di te sono rimasta catturata fin dall’inizio da questo romanzo affascinante che scava come una lama i sentimenti umani.Mi ha colpito l’erotismo intellettuale e la sensualita’che puo’avere il “verbo” e nom a caso Grossman e’di origine ebraica.In certe parti mi ha ricordato la sensualita’del”Cantico dei cantici’ e soprattutto la potenza della parola.L’idea che penetrare in un animo e’ piu’forte che possedete un corpo e’ vera e molto forte.E’un libro nel quale mi ci sono mto ritrovata.Ottima scrittura
Io l’ho abbandonato dopo una settantina di pagine, credo.
Troppo abituata alla scrittura “realista”, certe letture/scritture mi sono ostiche. Mi è capitato di rado, in percentuale, di abbandonare la lettura, ma ho un ripiano con libri più “pesanti” (Un amore di Swan, Ulisse, Memorie di Adriano, …). Anche Il libro della grammatica interiore non è digeribilissimo… Però ho tenuto duro fino in fondo 🙂