Justine e Duncan sono due cugini che si scoprono innamorati e decidono di lasciare la grande casa di famiglia e iniziare la loro vita insieme altrove. Prima di loro solo il prozio Caleb aveva abbandonato quella normalità e ora, a sessant’anni dalla sua sparizione, il vecchio Daniel Peck è deciso a ritrovarlo…
Con ogni probabilità nessuno (o molto pochi) della mia generazione ha sentito nominare Anne Tyler, mentre per me è quasi un ricordo dell’infanzia perché i suoi libri giravano spesso per casa. Forse è più una scrittrice per le mamme che per le figlie, ma dei libri che ho letto – non moltissimi a dire il vero – La figlia perfetta è per me un pelino sotto al capolavoro vero.
In generale quello che penso di Anne Tyler è che sia una scrittrice che scava molto in profondità nella psiche umana e lo fa davvero bene. In questo libro conferma la sua propensione ad analizzare le diversità umane in tutte le sue sfaccettature. I due protagonisti, Justine e Duncan, sono personaggi molto complessi, irrequieti e spesso superficiali, ma anche coraggiosi e disposti a sfidare le convenzioni sociali per affermare la veridicità della loro unione. Certo, però, non si può dire che siano genitori modello. Figli del loro tempo (gli anni ’70), sembrano incapaci di mettere radici e di pensare a costruire un futuro stabile per sé e per la figlia Meg, che si dimostra fin da ragazzina di gran lunga più matura di loro.
Diciamolo, non è che riescano a suscitare grandi simpatie nel lettore, anzi sono quasi irritanti: lui lascia un lavoro dopo l’altro perché perde interesse facilmente, e lei, che a tempo perso fa la cartomante, è sempre pronta a seguirlo nelle sue sbandate. Chi invece suscita una gran tenerezza e ammirazione è l’anziano nonno Peck che, in compagnia della strampalata nipote, gira per l’America in treno o autobus alla ricerca di un fratello di cui non ha più notizie da quasi sessant’anni. Memore di una cultura improntata alle regole ferree tipiche della borghesia benpensante di fine Ottocento, si ritrova catapultato in un mondo del tutto diverso ma, paradossalmente, sembra adattarcisi alla perfezione, meglio di quanto facciano figli e nipoti, stabilmente radicati nella vecchia casa di famiglia.
Tutto veniva appianato, non c’erano picchi di gioia o dispiacere ma soltanto abitudini, routine, vecchi nomi, riti e costumi di famiglia, persone anziane che si muovevano con lentezza e cautela in mezzo a mobili che erano nella stessa posizione da cinquant’anni.
Sul finale ci si aspetta che la storia abbia una sterzata decisiva ma purtroppo questo non avviene e tutto procede liscio come l’olio senza grandi sbalzi emozionali su un percorso abbastanza statico e prevedibile.