Mentre imperversano i combattimenti tra l’esercito nazista e l’Armata russa per il predominio sulla città di Stalingrado, sono molti a lottare per la vita e a seguire il proprio destino.
Considerato uno dei capisaldi della letteratura novecentesca russa, Vita e destino di Vasilij Grossman è un’opera epica incentrata sulla battaglia di Stalingrado. Il romanzo è un resoconto della tragedia scaturita dalla follia delle due personalità più controverse del Novecento, Hitler e Stalin, che l’autore attraverso i suoi personaggi condanna in egual modo. Due totalitarismi a confronti che nel nome del bene comune e dell’amor di patria, non hanno posto freni alla violenza e di fatto hanno portato sull’orlo del baratro due nazioni.
La particolarità del libro è che l’autore procede dall’universale al particolare, inquadrando la situazione storica da un punto di vista esterno, salvo poi andare a focalizzare l’attenzione sulle vicissitudini di questo o quel personaggio. Nel giro di poche righe, quindi, si passa dalla tragedia pubblica al dramma del singolo, che si fa più intimo, più concreto e, quindi, più emotivamente coinvolgente.
Ecco perciò che ci si trova su un vagone merci stipato con gli altri prigionieri diretti ai campi di concentramento tedesco; nella camerata di un lager sovietico; in fila per entrare nelle camere a gas; al fronte in prima linea sotto il fuoco incrociato delle bombe; nelle retrovie in attesa di avanzare; nella cella della Lubjanka senza sapere di cosa si è accusati. E anche chi sta meglio, a Mosca o in qualche altra città della provincia russa, non se la passa poi tanto bene tra chi è assillato dalla preoccupazione di sapere che sorte hanno avuto familiari scomparsi, chi piange la morte di un figlio, chi non si vede riconosciuti i meriti di un lavoro meticoloso, chi soffre per il tradimento di un amico e chi si strugge per le pene d’amore.
Vite simbolo, esemplari di quanti hanno combattuto al fronte o hanno fatto l’esperienza della prigionia: “quanti di loro saranno dimenticati in un’epoca difficile da dimenticare…”
Memorabile il discorso tra il comandante delle SS Liss e il prigioniero bolscevico Mostovkoj, in cui nazismo e comunismo risultano essere facce di una stessa moneta, due ideologie che sottomettono il popolo e lo riducono alla fame, che imprigionano gli avversari politici e fanno della violenza la loro nota distintiva.
Se in altre parti del romanzo e per mezzo di altri personaggi è possibile scorgere la critica ad una politica incentrata sulla violenza e sulla repressione, è in queste pagine che emerge la feroce accusa dell’autore stesso. Pur riuscendo a trovare uno spiraglio di positività nonostante la bestialità di quegli anni:
La storia degli uomini non è dunque la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell’uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell’umanità. Ma se anche in momenti come questi l’uomo serba qualcosa di umano, il male è destinato a soccombere.
Diciamo subito che il primo approccio con il romanzo non è dei più facili, anzi. All’inizio la sensazione del lettore medio è quello di perdersi in un mare di nomi impronunciabili ed è davvero arduo districarsi tra tutti, cercando di discernere i fatti salienti da quelli di poco conto, individuare i personaggi principali tra le decine e decine di comparse. Una galleria davvero infinita di personaggi – alcuni realmente esistiti, altri inventati – e di accadimenti presenti e passati, ma si comincia a prendere le misure quando si definiscono l’albero genealogico della famiglia Šapošnikov e i rapporti che legano i suoi membri con altri protagonisti.
Vita e destino è un romanzo davvero tosto (forse il più tosto che abbia mai letto) ma che ripaga davvero della fatica iniziale; uno di quelli che va letto una volta nella vita… ma la verità è che una volta non basta!